Recensione a “La rosa delle Dolomiti” romanzo di Valentina Fontan

“LA ROSA DELLE DOLOMITI” romanzo di Valentina Fontan

Recensione a cura di Beniamino Malavasi

«Camosci, corvi, una donna con gli occhi di un gufo, una vecchia con delle carte stregate… Insomma, sembra di vivere una delle nostre leggende, non la realtà» borbottò, riprendendo la strada.

Nel narrare la vita di Lisbeth Dassanowsky, giovane nobile austro-ungarica del tardo ‘800, Valentina Fontan rende un grande servizio al lettore: dalle vicissitudini della famiglia imperiale Asburgo-Lorena, in particolare nella persona di Sua Maestà Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach, consorte di Francesco Giuseppe d’Austria, ai più nota con il soprannome cinematografico Sissi, e di sua figlia Maria Valeria; alla valorizzazione delle Dolomiti con aperture di passi, sentieri e alberghi a opera di personaggi realmente esistiti e agenti nel romanzo, per non parlare di miti e leggende legati a quei luoghi; ma, anche, osservazioni sul come la donna fosse all’epoca considerata:

«Siete una donna e, come tale, non avete alcun diritto di decidere del vostro futuro. Diventerete mia moglie che la cosa vi aggradi o meno. Adesso venite, il prossimo ballo ci attende» le ordinò il freiherr afferrandole la mano.

Tanti spunti di riflessione, dunque, a volte amari:

«… Sapete qual è il vero problema?»

«Quale?» ribatté Lisbeth, alzando il viso e guardando in direzione dell’Imperatrice.

«Il matrimonio. Questa unione che obbliga noi donne ad abbandonare la libertà per andare incontro a una vita piena di delusioni e sofferenze. Il matrimonio non è altro che una compravendita, dove la signorina in questione viene offerta su un vassoio al migliore offerente in cambio di denaro, potere o una posizione» spiegò amaramente.

Ma sempre proiettati al meglio, nonna Agnite dixit.

Sì: pur non essendo nelle mie corde, La rosa delle Dolomiti mi ha coinvolto (forse perché c’è un “quasi” omicidio?). Valentina Fontan è riuscita a creare quella magia, quella enrosadira che, complice anche l’atmosfera propria del secolo romantico per eccellenza (l’Ottocento, appunto), mi ha spinto a immergermi nella natura, lungo le pendici di quei monti che il mondo ci invidia, luoghi all’epoca incontaminati (come più volte rimarcato da Romano Cuel) e che oggi… soffrono.

La scrittura di Fontan è scorrevole e benché – al pari dei Promessi Sposi (e l’accostamento non è casuale…) – l’epilogo sia prevedibile, si vorrebbe comunque continuare a respirare l’aria buona che le pagine di questo libro effondono riga dopo riga.

Ah, dimenticavo: La rosa delle Dolomiti contiene più di un elemento autobiografico dell’Autrice. A voi trovarli.