Recensione a “Delitto e castigo” romanzo di Fëdor Dostoevskij

“DELITTO E CASTIGO”  – Edizione Arnoldo Mondadori Editore 1964 – edizione fuori commercio riservata agli abbonati dei periodici Mondadori pubblicata per gentile concessione di Giulio Einaudi Editore – romanzo di Fëdor [sulla copertina dell’edizione da me letta indicato come Fjòdor] Dostoevskij

Recensione a cura di Beniamino Malavasi

Ambientato nella San Pietroburgo del 1866 [eccezion fatta per l’Epilogo, ambientato probabilmente a Omsk, città siberiana sede di una fortezza e di una struttura per lavori forzati che ospitò lo stesso Dostoevskij], Delitto e castigo è un romanzo complesso.

Nella Russia dello zar Alessandro II, autore di riforme audaci [fra le quali spicca l’abolizione (o quasi) della servitù della gleba] dettate dalla volontà di ammodernare il Paese avvicinandolo agli stati europei di riferimento, Dostoevskij costruisce un percorso umano, quello del protagonista Rodiòn Romànovič Raskòl’nikov [nell’edizione letta Rodiòn Romànyč Raskolnikov], verrebbe da dire, usando un termine attuale, multitasking.

Invero, se il tema, e le conseguenti riflessioni dell’Autore, più noti riguardano, per l’appunto, il concetto di delitto e il chi può compierlo più o meno impunemente [il rimando è all’articolo di filosofia del diritto scritto dallo studente di giurisprudenza, nonché protagonista del romanzo, Raskolnikov ove si discetta sul fatto che:

…tutti gli uomini sono in certo qual modo divisi in “ordinari” e “straordinari”. Quelli ordinari devono vivere nell’obbedienza e non hanno il diritto di violare la legge, perché essi, vedete, sono ordinari. Gli uomini straordinari invece hanno il diritto di commettere qualsiasi delitto e di violare in ogni modo la legge, precisamente perché sono straordinari”],

Delitto e castigo è molto di più.

Si parla di politica con riflessioni sul socialismo e sul concetto di comune: Voi non la capite come si deve: io ho pensato perfino che, una volta ammesso che la donna è uguale all’uomo in tutto, anche nella forza (cosa che già affermano), in questo pure, di conseguenza, deve esserci uguaglianza…. Secondo me, cioè secondo la mia personale convinzione, è proprio quello lo stato più normale della donna… Nella presente società, certo, non è del tutto normale, perché è basata sulla coercizione, ma in quella futura sarà perfettamente normale, perché libera… Nella comune questa funzione cambierà completamente il suo carattere attuale e ciò che qui è stupido là diventerà intelligente; ciò che qui, nelle presenti condizioni, è innaturale, là diventerà perfettamente naturale. Tutto dipende dalle condizioni e dall’ambiente in cui si trova l’uomo. Tutto deriva dall’ambiente e l’uomo per se stesso è nulla…. Per esempio, ho capito magnificamente la questione del baciamano, e cioè l’uomo offende la donna con una disuguaglianza di trattamento, se le bacia la mano…” [Andrej Semënovič Lebezjatnikov; nell’edizione letta: Andrèj Semjonovič Lebezjàtnikov].

Si fanno riflessioni sulla società, in particolare sui poveri, coloro che sono i veri protagonisti del romanzo:

forse più di tutto vi aveva contribuito quello speciale orgoglio dei poveri per il quale, in occasione di certi riti sociali, obbligatori nella nostra convivenza per chicchessia, molti poveretti si sforzano per quanto possono e spendono le ultime copeche risparmiate soltanto “per non essere da meno degli altri” e perché quegli altri “non li critichino” in qualche maniera…Questi parossismi di orgoglio e vanità assalgono talvolta le persone più povere e più avvilite, diventando per esse, di tempo in tempo, un irritante e irresistibile bisogno.

Quanta verità e quanta modernità in quelle parole!

E se colpiscono alcune domande, alcuni incisi:

… è la malattia a generare il delitto, o il delitto stesso, in certo qual modo per la sua particolare natura, si accompagna sempre a una specie di malattia?

Ecco: volevo diventare un Napoleone, è per questo che ho ucciso…

Affermazione, questa del protagonista, che si ricollega alla tesi sopra richiamata della distinzione degli uomini in due categorie finendo per essere il motore di tutto l’impianto narrativo.

Delitto e castigo, forse proprio a causa della sua complessità, pare non sfuggire ad alcune contraddizioni.

Invero, se da un lato l’Autore, fa dire a Arkàdij Ivànovič Svidrigajlov:

Non sto a dire naturalmente che ci son casi in cui le donne, nonostante ogni apparente indignazione, provano molto, molto piacere nel sentirsi offendere. Succedono a tutti questi casi; l’uomo anzi in genere ama moltissimo che lo si offenda, l’avete notato? Ma le donne in modo speciale. Si può perfin dire che vivono solo di questo.

Dall’altro lato è innegabile che tutto il romanzo sia un inno alla forza, morale, di carattere, delle donne: Sonja; Dunja…

Ancora, stupiscono, probabilmente per la mia non conoscenza dei meccanismi narrativi russi del XIX secolo, i comportamenti, per l’appunto, contrastanti di alcuni personaggi.

Il sopra citato Arkàdij Ivànovič Svidrigajlov che, pur vantandosi a più riprese di essere un viveur [di bassa lega], improvvisamente ravvedutosi, si suicida non potendo avere la donna bramata [la sorella di Raskolnikov]; o Pëtr Petrovič Lužin [nell’edizione letta: Pjotr Petròvič Lúžin] che, compiacendosi di essere un gran avvocato, viene sbugiardato dal più modesto Andrej Semënovič Lebezjatnikov [nell’edizione letta: Andrèj Semjonovič Lebezjàtnikov].

E fa sorridere come, dopo circa 130 pagine nell’edizione letta, Dmitrij Prokof’evič Vrazumichin [nell’edizione letta chiamato quasi sempre Razumíchin], unico vero amico di Raskolnikov, abbia risolto il delitto quando al super magistrato Porfírij Petròvič sia occorso quasi tutto il libro…

E fa pensare come, già allora e in un simile contesto, l’America fosse vista come terra dei sogni e Napoleone un eroe…

Certo è che, nonostante le vicissitudini patite dai personaggi del romanzo, Dostoevskij lancia un messaggio importante: omnia vincit amor, ovvero: l’amore vince ogni cosa; l’amore trionfa su tutto.

E così sia.