“OLTRE L’ABISSO” di Elisabetta Tagliati
Recensione a cura di Beniamino Malavasi.
Curiosando in “Rete” si scopre che dal capitolo primo del romanzo de quo, intitolato “Oltre l’abisso. Gioventù”, è stata tratta un’opera rock.
E se si fosse trattato di opera lirica che abbinamento si sarebbe potuto fare con i personaggi creati da Tagliati?
Quanto alla protagonista Bethel, la capoclan dei Tallach, l’associazione potrebbe essere:
“Gelo che ti dà foco e dal tuo foco più gelo prende!
Candida ed oscura! Se libero ti vuol ti fa più servo.
Se per servo t’accetta, ti fa Re!”
Su, straniero, ti sbianca la paura!
E ti senti perduto!”
In altre parole: la principessa Turandot (dall’omonima Opera pucciniana).
Il primo compagno di Bethel, Makena, potrebbe essere il Mario Cavaradossi (pure lui pucciniano) che, ormai prossimo alla morte, canta:
“E lucevan le stelle,
Ed olezzava la terra
Stridea l’uscio dell’orto
E un passo sfiorava la rena.
Entrava ella fragrante,
Mi cadea fra la braccia.
O dolci baci, o languide carezze,
Mentr’io fremente le belle forme disciogliea dai veli!
Svanì per sempre il sogno mio…”
Ma è Vessagh, deus ex machina della vicenda, a rivestire il ruolo più complesso, costringendo l’immaginazione a combinare vari soggetti: dai fratelli Mime e Alberich, passando per Parsifal (il “puro folle”) – tutti soggetti wagneriani – per finire a colui del quale si disse:
“Il suo nome è Amore”
Ovvero il principe Calaf… (ah Puccini, Puccini!!!)
Accantonando per il momento il mondo del “recitar cantando” per tornare a quello della scrittura, cosa si può dire di “Oltre l’abisso”?
La copertina informa il lettore che, quello che ha di fronte, è un “Romanzo onirico”.
Trattasi di accostamento “forte”: invero, al concetto di
“ampio componimento narrativo, fondato su elementi fantastici o avventurosi, su grandi temi sociali o ideologici, sullo studio dei costumi, dei caratteri o dei sentimenti”
(“Romanzo” secondo la definizione espressa dal Vocabolario Zingarelli ed. 2000) si somma quello di
“relativo o simile ai sogni”
(“Onirico”, Vocabolario Zingarelli, cit.).
Ed è proprio così.
Elisabetta Tagliati offre al lettore un libro potente, dove l’Io intimo si pone in continuo conflitto con l’Io esterno, dove l’Io totale è alla ricerca della Via, della Strada, tra Realtà quotidiana e Realtà mistica – gli Dei che “parlano” tramite sogni, anzi, visioni.
È difficile da credere che “Oltre l’abisso” sia opera prima dell’Autrice carpigiana; la ricchezza di linguaggio, la profondità di pensiero, le riflessioni auliche: tutte qualità che il più affermato degli scrittori le invidierebbe.
D’altra parte già il titolo del libro si rivela profetico: che cos’è l’”Abisso” se non il “noi stessi”, la nostra anima, la nostra mente, i nostri sentimenti? Ed ecco che Tagliati va “oltre” ciò, scandagliando il “dopo”, il sempre più profondo. E lo fa offrendo al lettore modelli diversi, scomodi, tormentati, secolari e credenti – Bethel, Makena e Vessegh – di abisso, di profondità, di esistenza. Modelli chiamati a confrontarsi fra loro e con la loro discendenza, nel bene e nel male, senza esclusione di colpi, senza che nessuno risulti pieno e unico vincitore (l’“Amore”?).
“Oltre l’abisso” va affrontato con calma, ponderando parola dopo parola. È l’esempio di testo nel quale il ritmo narrativo non può, non deve fungere da elemento valutativo dell’opera, proprio perché ciò che conta non è la velocità di lettura ma l’introspezione, l’interrogarsi.
“Vivere senza passione è come morire.
Ma più lentamente.”
Si legge nell’esergo; e di passione “Oltre l’abisso” è ricco, anzi, ricchissimo.
Così come è ricco di note esplicative – testimonianza del lavoro di ricerca compiuto dall’Autrice – e di una interessante ricostruzione della sua genesi vergata dall’Autrice stessa.
E dire che tutto ha inizio causa un sogno, anzi, una visione.
Buona lettura.