Recensione di “L’uomo del labirinto”

“L’UOMO DEL LABIRINTO” di Donato Carrisi

Recensione a cura di Serena Donvito

Dopo quindici anni, Samantha, rapita quando di anni ne aveva tredici, improvvisamente, riappare. È ferita, sotto choc e imbottita di farmaci. Viene affidata al dottor Green, un profiler che dà la caccia ai “mostri” quanto si trovano ancora nella mente delle vittime. A cercare il responsabile del rapimento ci penserà anche Bruno Genko, investigatore privato, e anche lui ricorrerà a metodi non proprio leciti.

“Loro non sanno di essere mostri, pensano di essere persone normali. Se cerca un mostro, non lo troverà mai. Se invece pensa a lui come a un uomo comune, come me o come lei, allora ha qualche speranza.”

No, vabbè, che dire?

Penso che questo sia, tra quelli letti finora, il libro più “disturbato” di Carrisi.

Ambientazioni claustrofobiche, atmosfere inquietanti che strizzano l’occhio all’horror, intrecci a cui ci ha abituati e colpi di scena di cui non ci priva mai.

Anche qui non mancano i giochi psicologici con il lettore, seppur meno presenti rispetto ai suoi precedenti, o meglio, nei precedenti li ho trovati disseminati lungo tutta la narrazione, qui, invece, si concentrano molto sul finale. Sicuramente Carrisi ha una penna da colpo di scena, e in ogni libro riesce a inserire elementi non individuabili sino a quando non è lui a deciderlo.

I suoi personaggi sono sempre affetti da una particolare “patologia”: la solitudine; ed è in mezzo a questa solitudine che se ne vanno, si isolano, fanno i conti con i loro lati bui.

” Voleva bene a *****, ma aveva lo stesso dovuto ucciderla perché la donna non aveva capito la più elementare delle verità. Cioè che il bambino ***** rifiutava di sentirsi vittima perché era già consapevole di far parte della categoria dei carnefici.”