Recensione di “Il giudice e il suo boia”

“IL GIUDICE E IL SUO BOIA” di Friedrich Dürrenmatt

Recensione a cura di Beniamino Malavasi.

L’uccisione di un poliziotto di Berna infiltrato in un gruppo di cospiratori della Svizzera-bene post Seconda Guerra Mondiale dà il la a conseguenze dirompenti.

Scrive Chiara Tassi nel suo “Come leggere un romanzo. Diventare lettori consapevoli” (Giubilei Regnani editore, 1° edizione – febbraio 2017):

Lo scrittore utilizza la struttura e i meccanismi del poliziesco, per dimostrare l’inconsistenza e la finitudine del genere stesso e, al tempo stesso, la sua tesi filosofica sull’esistenza. Lo fa introducendo nei suoi romanzi, il concetto di Zufail, ossia il Caso: il mondo è regolato dal caso e non ci sono regole logiche che possano aiutare o guidare l’uomo o il detective… Il giallo interlocutorio dello scrittore svizzero pone pertanto al suo lettore un problema assai vivo anche ai giorni nostri. È giusto pur di arrivare alla verità mettere in pericolo degli innocenti? È giusto, per combattere il male, usare i suoi stessi mezzi?”

Sulla stessa lunghezza d’onda si pone anche Giancarlo De Cataldo nel suo articolo “Ma come è anarchico Dürrenmatt” apparso su “Robinson” n. 176 del 18 aprile 2020.

I concetti di cui sopra è lo stesso Dürrenmatt a esporli tramite l’antagonista (qui rivolto al “buono”, il rappresentante la “giustizia” Commissario Bärlach):

“… Secondo la tua tesi, l’imperfezione umana è il motivo per cui la maggior parte dei delitti viene inevitabilmente alla luce: siamo incapaci di prevedere con sicurezza come agiranno gli altri, e nei nostri ragionamenti non riusciamo a integrare il caso, che in tutto mette lo zampino. Dicevi che è da stupidi compiere un delitto, perché non è possibile muovere gli uomini come figure su una scacchiera. Io allora per contraddirti, ma senza vera convinzione, sostenni che proprio il garbuglio dei rapporti umani ti permette di compiere delitti che non si possono scoprire. È questo il motivo per cui i crimini, nella loro stragrande maggioranza, non solo rimangono impuniti, ma non destano nemmeno sospetto, quasi avvenissero in gran segreto…”

Romanzo breve “ll giudice e il suo boia”, un noir psicologico (o, come visto, filosofico?) strutturato come una partita a tre dove nessuno, nemmeno il “bene”, vince.

Scrittura asciutta, senza fronzoli, senza perifrasi tanto di moda per allungare il brodino; persino la descrizione del clima, uggioso, tetro, è di sostegno all’impianto narrativo. Il lettore è così chiamato a concentrarsi sulle mosse – evidenti o intuibili – dei giocatori; il famoso “perché” che lo scrittore capace instilla con destrezza nella mente dei suoi seguaci.

«Lei è stato il giudice, e io il suo boia» ansimò Tschanz.

«Così è» rispose il vecchio.

Consigliatissimo.