Recensione di “I ragazzi della Nickel”

“I RAGAZZI DELLA NICKEL” di Colson Whitehead

Recensione a cura di Beniamino Malavasi

Vincitore del “Premio Pulitzer per la narrativa” 2020 (secondo consecutivo – dopo “La ferrovia sotterranea” – per l’Autore: primato) i “Ragazzi della Nickel” è un romanzo-denuncia sulla condizione di razzismo-segregazionismo vissuta dalle persone di colore negli Stati del sud degli U.S.A negli anni ’60 del secolo scorso. In particolare è lo stesso Whitehead a dichiarare nei “Ringraziamenti” di aver tratto ispirazione per la sua Opera dalla storia della “Dozier School for Boys” di Marianna, in Florida.

Eppure, nonostante il prestigioso Premio conseguito, al termine della lettura del testo qualche perplessità rimane.

Che sia un libro destinato prettamente al pubblico statunitense (o a conoscitori della storia socio-giuridica di quello Stato) lo si desume dai richiami operati qua è là nel testo; dall’insieme delle leggi denominate, nel loro complesso, “Jim Crow”, alla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America “Brown v. Board of Education” : solo chi conosca (bene) gli U.S.A. o chi abbia accesso alla “Rete” può comprendere di cosa si tratti.

Anche la collocazione temporale delle vicende narrate la si arguisce (indirettamente) da piccoli indizi disseminati nella trama: la “sconfitta” subita da Richard Nixon contro John Fitzgerald Kennedy nello scontro televisivo pre-elettorale in chiave elezioni presidenziali statunitensi; l’incontro di pugilato (il primo tra i due) Sonny Liston vs Cassius Clay; i discorsi tenuti da Martin Luther King jr…

Ma è la struttura narrativa nel suo complesso a suscitare dubbiosità.

Contraddistinto da una generale lentezza espositiva, e dando per scontato concetti e situazioni che, solo in seguito (anche a distanza di pagine), verranno spiegati, il libro si suddivide in tre parti ben distinte tra loro: invero, se la prima è dedicata esclusivamente (e noiosamente…) alla descrizione del protagonista Elwood Curtis, la seconda narra episodi, più o meno lunghi, vissuti da Elwood nella “Nickel”; e la terza la si comprende solo leggendo l’Epilogo…

Si ha l’impressione che il libro sia frutto dell’estrapolazione, da parte dell’Autore, di un insieme di appunti da un “corpus” più ampio, con frasi piazzate “a spot”… e di vistosi richiami a lungometraggi più o meno famosi: da “Sleepers” (che vede tra i protagonisti: Robert De Niro, Dustin Hoffman, Brad Pitt e Kevin Bacon) a “Le ali della libertà” (protagonisti, tra gli altri, Tim Robbins e Morgan Freeman), fino a…”The Blues Brothers” (il nome Elwood Curtis dice niente?).

Tuttavia, volendo “dare a Cesare quel che è di Cesare”, e come è giusto che sia, va dato a Whitehead di aver concepito un finale (il citato “Epilogo”) per nulla scontato, anzi, imprevedibile, e che, oltre a spiegare la “Parte Terza” del libro, risolleva le sorti di un romanzo altrimenti piatto.

Da rileggere (con calma).