Recensione de “L’innocente”

“L’INNOCENTE” di Gabriele D’Annunzio

Recensione a cura di Serena Donvito

“Perché l’uomo ha nella sua natura questa orribile facoltà di godere con maggiore acutezza quando è consapevole di nuocere alla creatura da cui prende il godimento? Perché un germe della tanto esecrata perversione sadica è in ciascun uomo che ama e che desidera?”

Difficile trasferire su carta il disgusto che sin dall’inizio ho provato per Tullio, questo protagonista che non voglio definire uomo perché gli uomini, a mio avviso, sono altri.

Un soggetto profondamente egoista che vive unicamente per compiacere se stesso, che passa sopra i sentimenti di una donna ossequente per lasciar libero sfogo a pulsioni che non riesce a trattenere, neanche fosse un animale privo di raziocinio. Uno di quegli uomini che vogliono tutto: la moglie silenziosa e fedele a casa e l’amante fuori.

“Io credevo che per me potesse tradursi in realtà il sogno di tutti gli uomini intellettuali: – essere costantemente infedele a una donna costantemente fedele.”

Egoista, cinico, senza morale, machiavellico, spietato nella mancanza di devozione nei confronti di una donna che in più di una occasione definisce “la povera illusa.”

“Ma” io pensai “questa volta ha ella proprio creduto al mio ravvedimento? Non è ella stata sempre un poco scettica a riguardo dei miei buoni moti?” E rividi quel suo tenue sorriso sfiduciato, già altre volte comparsole sulle labbra. “Se ella dentro di sé non avesse creduto, se anche la sua illusione fosse caduta subitamente, allora forse la mia ritirata non avrebbe molta gravità, non la ferirebbe né la sdegnerebbe troppo; e l’episodio rimarrebbe senza conseguenza, e io rimarrei libero come prima.”

Se non fosse che ci metterei troppo tempo, riporterei ogni dichiarazione di quest’uomo alla consorte; uomo a cui avrei voluto rispondere con un ceffone.

Un commediante che descrive gli anni passati a saltare da un letto all’altro come anni di profonda sofferenza, per lui, non per “la povera illusa” che lo aspettava a casa consapevole delle sue attività alternative.

“Ma, in realtà, questa specie di retorica platonica a qual fine tendeva? Ad ottenere che una vittima si lasciasse sacrificare sorridendo.”

Sembrerà che mi stia soffermando troppo su questo personaggio, ma ciò è dato dal fatto che questo romanzo è composto per lo più da monologhi e riflessioni che il protagonista fa con se stesso. Ci espone i suoi pensieri, descrive le reazioni ai movimenti o espressioni sospette della moglie e lo fa in modo sicuramente trascinante.

“Anche questa volta, se tu vorrai, la vittima si sforzerà di sorridere sentendosi morire.”

Bisogna riconoscere a D’Annunzio di aver dato vita a un protagonista odioso ma interessante. Ci guida nei tortuosi labirinti di questa mente malata e ce li fa percorrere alacremente in cerca dell’uscita.

Gli altri personaggi non li definirei neanche di contorno, ma decorazioni atte a dare un po’ di movimento a una stesura che, obbiettivamente, di movimento non ne ha se non nella parte finale in cui scopriremo l’identità dell’”Innocente”.

Questa è, a mio avviso, la dimostrazione che la forza dello stile di scrittura è in grado di portare avanti anche trame inconsistenti.

Anche se non sembra, questo libro mi è piaciuto molto.

“Che siamo noi? Che sappiamo noi? Che vogliamo? Nessuno mai ha ottenuto quel che avrebbe amato; nessuno otterrà quel che amerebbe. Cerchiamo la bontà, la virtù, l’entusiasmo, la passione che riempirà la nostra anima, la fede che calmerà le nostre inquietudini, l’idea che difenderemo con tutto il nostro coraggio, l’opera a cui ci voteremo, la causa per cui moriremo con gioia. E la fine di tutti gli sforzi è una stanchezza vacua, il sentimento della forza che si disperde e del tempo che si dilegua.”

Detto ciò, Tullio va ad affiancare sul mio personale podio Emma Bovary.

Tullio ed Emma eletti personaggi più insopportabili della letteratura.