“MAIGRET NELLA CASA DEI FIAMMINGHI” di Georges Simenon
Recensione a cura di Beniamino Malavasi
Quattordicesimo romanzo di Simenon con protagonista il commissario Maigret, “Maigret nella casa dei Fiamminghi” (titolo originale Chez le Flamands, pubblicato per la prima volta nel 1932, conosciuto in Italia anche come “La casa dei fiamminghi” o “Maigret e la casa dei Fiamminghi”) vede l’investigatore coinvolto, suo malgrado, in un’indagine non ufficiale tesa a dimostrare l’innocenza di una famiglia fiamminga circa la sorte di una ragazza innamorata (?) di uno dei suoi rampolli – Joseph Peeters.
Anche qui si evidenzia la maestria – e la modernità – di Simenon non solo nello strutturare il personaggio Maigret, oltre ai vari protagonisti via via coinvolti nella vicenda ma, soprattutto, nel descrivere il tessuto sociale, il “dove”, centro della trama.
Siamo nella Francia anni ’30 del secolo scorso e, precisamente, a Givet, cittadina fluviale sulla Mosa, incuneata in territorio belga e a ridosso della linea di confine tra i due Stati.
Ed ecco emergere le diffidenze, i sospetti, i malumori nei confronti di chi – i Peeters, appunto – appare, per lingua e tradizioni (fiammighe), come “altro”, straniero, oltre che ricco (tra chi è meno abbiente) …
Simenon è troppo intelligente per prendere posizione anche se, tra le righe del romanzo, sembra potersi leggere un biasimo a tale razzismo, seppur esso sia originato dalle non facili condizioni di vita media della popolazione locale, legata a filo doppio agli “umori” del fiume.
Simenon è, altresì, delicato nel descrivere il vero e proprio dramma familiare (con annessi riflessi di morbosità vissuti in seno alla famiglia) che porterà a allo sconvolgimento dei Peeters, regalando al lettore un finale per certi versi non atteso ma, in ogni caso (ed è ciò che conta e che rende Simenon un grande), credibile.
Buona e doverosa lettura.