“IL LIBRO DEL BUIO” di Tahar Ben Jelloun
Recensione a cura di Serena Donvito
“Ma tutto il sistema era basato sul principio del buio, di quell’oscurità insondabile, delle tenebre che alimentavano la paura dell’invisibile, la paura dell’ignoto. La morte incombeva. Era lì. Ma non dovevamo sapere da dove avrebbe colpito, né come, né con quale arma. Dovevamo essere in balìa dell’invisibile. Era questa la tortura, la raffinatezza della vendetta.”
Questo libro è faticoso, è dolore e crudeltà allo stato puro. È la privazione della dignità, è il sadismo.
Avevo già avuto modo di conoscere la penna di Jelloun, che qui ho ritrovato ancora più intensa, e senza il timore di esporre la cruda verità senza filtro alcuno.
Attraverso salti temporali, il protagonista ci racconta la sua vita prima e dopo quel 10 luglio 1971, giorno in cui in Marocco, insieme a un commando militare, irrompe nella residenza estiva del Re per tentare un colpo di stato, che fallisce. I soldati che hanno partecipato alla missione vengono rinchiusi, o forse è meglio dire sepolti, in una prigione sotterranea per diciotto anni.
Immaginate di trovarvi in una piccola cella completamente al buio; sempre, continuamente al buio.
Immaginate di dover convivere con i vostri escrementi e con gli scorpioni che vi girano intorno: non li vedete, ma sapete che sono stati messi lì, e li sentite.
Immaginate di mangiare cibi disgustosi, di dovervi tappare il naso per riuscire a inghiottirli e non morire di fame.
Immaginate di soffrire talmente tanto il freddo da non riuscire a muovervi.
Immaginate di arrivare quasi a desiderare la morte di uno dei vostri compagni di prigionia di cui avvertite i lamenti perché sapete che, una volta morto, potrete dividere con gli altri i suoi vestiti, e potrete uscire per qualche minuto da quel buco, per seppellirlo. Immaginate di essere consapevoli che la vostra vita sarà solo un percorso di sofferenza: cosa fareste? Vi aggrappereste comunque ad essa, o cerchereste la morte?
Difficile rispondere se non si vive in prima persona un’esperienza così crudele.
Il messaggio che Jelloun ci urla attraverso queste pagine è l’importanza della forza della mente, quella delle parole, e l’amore per la vita.
Cosa rimane a degli uomini a cui è stato tolto tutto, se non la propria mente? Mente che bisogna però privare dei ricordi, perché i ricordi si trasformerebbero in dolore, e il dolore toglie la voglia di vivere.
“Sogno di sentire delle parole e di farmele entrare nella testa, di vestirle di immagini, di farle girare come su una giostra, di conservarle al caldo, e di ripassare il film quando sto male, quando ho paura di precipitare nella follia.”