Recensione di “Gente nel tempo”

“GENTE NEL TEMPO” di Massimo Bontempelli

Recensione a cura di Serena Dovito

“… se c’era Vittoria ci andavamo subito dall’abate Clementi, ma Vittoria non torna, anche lei si sgretola, frana, tra i sassi che vanno in giù quando le bambine fanno il gioco del precipizio; povere bambine; l’onda delle macchie di luce s’invola con uno scampanìo molle del vespero, povera Dirce povera Nora; tutto va lontano, tace e si spegne. Allora dal fondo dell’ombra, dal fondo del silenzio, il volto della Gran Vecchia lampeggiò, e Silvano non provò più niente.”

È quasi impossibile raccontare la trama di questo romanzo, perché tutto è intangibile.

La protagonista indiscussa è sicuramente lei, la Gran Vecchia. Nonostante la narrazione si apra con la sua morte, sarà il suo severo dito a tenerci il segno durante la lettura. Un personaggio forte, tanto da aver continuato a influire sulle vite di chi le è stato accanto, anche dopo la sua dipartita. Poche parti su di lei ci basteranno per leggere questo libro con il suo piglio severo, la sua espressione contrariata. La sua ombra si posa su ogni riga, oltre che sulle azioni di chi lascia.

Le dichiarazioni fatte sul letto di morte, e la sua morte stessa, creeranno una gabbia intorno alla vita di chi, trovandosi improvvisamente libero, si renderà conto che quella libertà non sa come utilizzarla. Si scopre di non sapere ciò che si vuole, perché in realtà anche i desideri, per chi è abituato a non averne, costano troppa fatica, ed è più semplice lasciarli andare, continuando a vivere permeati dall’insoddisfazione. E così, ciò che improvvisamente diventa realizzabile, si trasforma in motivo di frustrazione, un peso di cui forse si poteva anche fare a meno.

Poi, nel racconto subentra l’elemento di rottura, quello che da una parte fa venire fame di vita, ma che allo stesso tempo la vita la frena e la fa girare intorno a un qualcosa di sacro e minaccioso.

Un libro a suo modo carico di angosce, solitudini, superstizioni, che alla fine del viaggio lascia un piacevole sapore agrodolce.

“Io non posso avere paura della morte, perché non c’è in me niente di vivo.”