“Storia di Neve” di Mauro Corona
Recensione a cura di Mirca Ferri
Ieri sera ho terminato il libro di Mauro Corona Storia di Neve, un tomo da oltre 1200 pagine. Questo libro ha suscitato in me diverse emozioni: io non vengo da e.non conosco la montagna degli anni ’20, dura, spigolosa e gelida del Friuli, formata da piccoli paesi dove gli abitanti si conoscono tutti, tutti hanno un soprannome e tutti un conto in sospeso tra loro. Anche con il prete. Corona decide di suddividere il lungo romanzo in “quattro quaderni” così li ha chiamati. Quaderni che partono dal 1919 e arrivano fino agli anni successivi alla tragedia del Vajont. L’Autore non si risparmia nelle descrizioni di quella vita così faticosa, così ingiusta nei confronti delle donne, governata da un tribunale popolare anziché legale. E mentre leggi, pagina dopo pagina, nel narrare le bestialità inferte agli infermi, alle donne, agli uomini stessi per una banale partita a carte, temi di essere incappato in un libro di stolti. Il racconto è così asciutto, reale, che ti pare di sentirle sul tuo corpo, quelle cinghiate. Eppure, in tutto questo orrore, nel momento del bisogno, gli uomini si aiutano uno con l’altro e, in un paese con abitanti cosi legati ad ogni radice degli alberi che lo circondano, nasce Neve. Una bambina miracolata, mai ufficialmente riconosciuta dalla Santa Sede, pure essendo stata interpellata. E con Neve nasce la speranza, in mezzo a questa povertà che non si riesce a immaginare, se non la si è vissuta. Insieme a inverni “da castigo”, come li chiama l’Autore, per il loro gelo e lunga durata. Ma Neve, neonata, che non teme il freddo e accanto a lei il fuoco si spegne, sa guarire la gente, con il tocco della sua mano. Il Paese non riesce a credere a tale grazia che presto, causa l’avidità del padre, si trasformerà in qualcosa di torbido e fallace, con la complicità di altri paesani. E qui il miracolo svanisce: s’intrecciano storie di rivalse, dispute sul lavoro, sul gioco. L’alcool serpeggia nel sangue di quei disgraziati che meritano vendette per futilità, restando poi prigionieri loro stessi di quanto compiuto. E tutto questo era stato predetto e narrato da Matteo, il primo miracolato da Neve. Ma la miseria, la fatica, l’arroganza, delineate in modo così feroce, trapassano la pelle – mentre leggi lo scritto – e i paesani dimenticano in fretta le profezie, pur essendone state vittime in passato di quella, che alla fine, risulterà essere la vera protagonista del romanzo nascosta tra le pagine.
Gli ultimi tre capitoli rivelano molte cose e stavolta il cuore te lo strappano per il dolore. Di quella gente, si. A cui, alla fine ti sei anche un po’ affezionato perché comprendi il loro stile di vita e capisci che loro, più di tutti lassù, non meritavano il disastro della diga. Disastro da loro stessi annunciato.E infine piangi per Neve. Per la sua bontà disinteressata e per ciò che porterà il suo unico amore, a entrambi.
Consiglio: andate fino in fondo , anche quando certi racconti sembrano prendere un’altra strada. Non ve ne pentirete.
[ ] Piccolo spoiler: Mauro Corona, nato e vissuti a Erto, ha faticato molto a raccogliere notizie su Neve. Quasi la gente temesse che volesse vendicare le loro cattiverie che hanno infangato la sua purezza.