Recensione de “L’albatro”

“L’ALBATRO” di Simona Lo Iacono

Recensione a cura di Alessandro Ottaviano

Simona Lo Iacono, con sguardo sensibile e una narrazione intima, raffinata, ci regala un mirabile ritratto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, l’autore de “Il Gattopardo”.

La storia si dipana su due piani temporali: infanzia ed età adulta.

Nel 1957 il Principe di Salina si trova ricoverato in una clinica romana a causa di un carcinoma ai polmoni. È sofferente; ma anche deluso e amareggiato perché continua a ricevere rifiuti dalle case editrici alle quali ha mandato il suo unico manoscritto: il celeberrimo “Il Gattopardo”.

Di solito, gli ultimi giorni di vita sono il momento in cui rievocare i ricordi, un modo di riscaldare l’anima e portare luce là dove incombono le tenebre.

Per il protagonista i momenti felici sono legati all’infanzia, dove dominano l’innocenza, la meraviglia e la fantasia; lo ritroviamo così, bambino solitario, chiuso nel suo mondo ormai perduto, figlio unico di un’antica e nobile famiglia siciliana.

Unico a tenergli compagnia è un compagno di giochi fantasióso, Antonno, che l’Autrice descrive come “un misto di stagioni e taglie sbagliate”. Antonno, dalla visione semplice e saggia del mondo, seppur all’incontrario; con la passione per l’intaglio:

“Antonno cosa stai intagliando? La risposta era sempre lupiceddi (lupacchiotti). Solo molto tempo più tardi, ma erano passati anni, e guerre, e viscerali rivoltamenti di cose, compresi che Antonno non sapeva mai cosa sarebbe saltato fuori, bisognava eliminare l’eccesso, gli scarti. La verità se ne stava addormentata dentro le cose e, per portarla alla luce, serviva solo un procedimento al contrario.”

Antonno incarna l’albatro, il grande uccello marino della famosa poesia di Baudelaire, che la madre di Giuseppe, Donna Beatrice Tasca Cutò, declamava ai bambini. E come L’albatro, il più fedele degli uccelli, resta accanto alla nave anche quando infuria la tempesta; così Antonno non solo veglia e guida il suo amato “principuzzo” nel lento maturare della sua vocazione letteraria, ma, altresì, guida il lettore attraverso il filo dei ricordi nella vita dell’autore del Gattopardo, rivolgendosi a lui in siciliano, la lingua degli affetti.

Giuseppe ha vissuto i due conflitti mondiali, i fasti e la caduta della sua casata, trascorrendo la sua infanzia nello sfarzoso palazzo di via Lampedusa vedendolo, poi, crollare sotto i bombardamenti.

Simona Lo Iacono, nel descrivere la Sicilia, “la terra dei miti”, regala scorci di una struggente bellezza, che fanno vibrare.

L’Autrice dipinge un affresco dell’ultima nobiltà siciliana (i Florio e altre famiglie blasonate) che, tra balli e ricevimenti mondani, resta pervicacemente ancorata a un mondo in disfacimento; comportamento che “rivelava tutta la sua crudele agonia e ostentava una ricchezza che non possedeva”.

“Dunque, morirò così: senza vedere la pubblicazione del mio romanzo. Senza che il mio principe possa raccontarsi ai lettori. E senza che il suo sguardo trasognato, perduto tra la carne e le stelle, prenda mai forma di un libro”

Il romanzo sarà pubblicato postumo nel 1958 e, l’anno dopo, vincerà l’ambito “Premio Strega”. Tradotto in tutte le lingue, diventerà immortale grazie alla magistrale trasposizione cinematografica di Luchino Visconti: un insperato successo di pubblico che lo consacrerà come un capolavoro della letteratura del Novecento e lo riscatterà dal temuto oblio.

In conclusione: “L’albatro” è un libro emozionante che va assolutamente letto.