Recensione a “SE UNA NOTTE D’INVERNO UN VIAGGIATORE” romanzo di Italo Calvino

“SE UNA NOTTE D’INVERNO UN VIAGGIATORE” romanzo di Italo Calvino

Edizione GEDI 2023

Recensione a cura di Beniamino Malavasi

Niente. Mi sono abituato così bene a non leggere che non leggo neanche quello che mi capita sotto gli occhi per caso. Non è facile: ci insegnano a leggere da bambini e per tutta la vita si resta schiavi di tutta la roba scritta che ci buttano sotto gli occhi. Forse ho fatto un certo sforzo anch’io, i primi tempi, per imparare a non leggere, ma adesso mi viene proprio naturale. Il segreto è di non rifiutarsi di guardare le parole scritte, anzi, bisogna guardarle intensamente fino a che scompaiono.

Leggere, – egli dice, – è sempre questo: c’è una cosa che è lì, una cosa fatta di scrittura, un oggetto solido, materiale, che non si può cambiare, e attraverso questa cosa ci si confronta con qualcos’altro che non è presente, qualcos’altro che fa parte del mondo immateriale, invisibile, perché è solo pensabile, immaginabile, o perché c’è stato e non c’è più, passato, perduto, irraggiungibile, nel paese dei morti…

Se una notte d’inverno un viaggiatore, romanzo di Italo Calvino del 1979, è stato letto, studiato, sviscerato. Metaromanzo è stato definito, ovvero:

romanzo sviluppato per mezzo di una tecnica narrativa, che consiste nell’intervento diretto dell’autore all’interno dello stesso testo che va componendo. Si verifica così una narrazione che assume come proprio oggetto l’atto stesso del raccontare, così da sviluppare un romanzo nel romanzo. All’interno di un metaromanzo l’autore introduce delle proprie considerazioni sullo scritto che sta producendo, ma anche degli avvisi o delle osservazioni rivolte direttamente al lettore. In questo modo l’autore stabilisce un rapporto con il lettore, creando con esso un dialogo continuo. A questo modo più che raccontare una storia, il narratore affronta questioni teoriche sul modo e sulle motivazioni dello scrivere: dall’auto osservazione nell’atto dello scrivere allo svelamento delle tecniche del racconto e delle scelte più profonde. [fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Metanarrazione].

Verrebbe quindi da dire che Calvino abbia creato un triangolo – lettore/personaggio/autore – i cui vertici si muovono, sono mossi da Calvino, sulla pagina a seconda dell’attimo, della circostanza.

Sotto certi aspetti questa struttura narrativa sembra richiamare quanto fatto (scritto) da Luigi Pirandello con i suoi Sei personaggi in cerca d’autore ove si assiste, tra l’altro,

 al Tentativo di svelare il meccanismo e la magia della creazione artistica e il passaggio dalla persona al personaggio, dall’avere forma all’essere forma. [fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Sei_personaggi_in_cerca_d’autore]

Ma c’è di più, molto di più: la lingua; come si scrive in italiano; come si costruiscono i periodi; l’uso della punteggiatura. Per come è concepito, Se una notte d’inverno un viaggiatore diventa, rectius, è vero e proprio laboratorio di scrittura. Esempio: oggigiorno ci si interroga su cosa sia e sull’utilità del “punto e virgola”: Calvino ne inserisce più d’uno e più di due nella stessa frase; idem per i “due punti”. Evidentemente ci siamo persi qualcosa per strada.

Paradossalmente questo sforzo creativo, questa elaborazione continua del narrare rendono il testo non così facile, non così immediato.

All’interno di un metaromanzo l’autore introduce delle proprie considerazioni sullo scritto che sta producendo, ma anche degli avvisi o delle osservazioni rivolte direttamente al lettore [dalla definizione di metaromanzo-metanarrazione di cui sopra]: ecco quindi le pagine distopiche che ben si spiegano riflettendo sul significato proprio di distopia:

una distopia viene tipicamente prefigurata come l’appartenenza ad un’ipotetica società o ad un ipotetico mondo caratterizzati da alcune espressioni sociali o politiche opprimenti, spesso in concomitanza o in conseguenza di condizioni ambientali o tecnologiche pericolose, che sono state portate al loro limite estremo [fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Distopia].

Basti pensare a 1984 di George Orwell.

Ma tutto il libro, a cominciare dall’introduttivo capitolo I, è percorso da quell’autoreferenzialità che solo un grande scrittore come Calvino può permettersi; autoreferenzialità mista a ironia: come altro può definirsi la scelta di chiamare Uzzi-Tuzii il docente universitario di una materia anch’essa improbabile come la letteratura cimmeria?

D’altra parte solo un grande scrittore può concepire una siffatta chiusa dove, a domanda composta dagli incipit dei romanzi “incompleti” risponde un lettore anonimo…:

Se una notte d’inverno un viaggiatore, fuori dell’abitato di Malbork, sporgendosi dalla costa scoscesa senza temere il vento e la vertigine, guarda in basso dove l’ombra s’addensa in una rete di linee che s’allacciano, in una rete di linee che s’intersecano sul tappeto di foglie illuminato dalla luna intorno a una fossa vuota – Quale storia laggiù attende la fine? – chiede, ansioso d’ascoltare il racconto.

Lei crede che ogni storia debba avere un principio e una fine? Anticamente un racconto aveva solo due modi per finire: passate tutte le prove, l’eroe e l’eroina si sposavano oppure morivano. Il senso ultimo a cui rimandano tutti i racconti ha due facce: la continuità della vita, inevitabilità della morte.

Buona, intensa, lettura.