“IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO” romanzo di Italo Calvino
Edizione GEDI 2023
Recensione a cura di Beniamino Malavasi
I sogni dei partigiani sono rari e corti, sogni nati dalle notti di fame, legati alla storia del cibo sempre poco e da dividere in tanti: sogni di pezzi di pane morsicati e poi chiusi in un cassetto. I cani randagi devono fare sogni simili, d’ossa rosicchiate e nascoste sotto terra.
La storia – dire “avventure” mi pare sminuire il significato del narrato – di Pin, bambino solo nella Liguria occupata dai nazisti, la sua esperienza nella Resistenza.
Come noto Il sentiero dei nidi di ragno è il primo romanzo di Italo Calvino, scritto nel 1947 e rivisto dall’Autore nel 1964 [è questa la versione proposta da GEDI]; in esso l’Autore dà voce al suo vissuto di Partigiano e lo fa, scrivendo al presente, sia tramite Pin, i suoi incontri – all’osteria, in prigione, nel gruppo partigiano, il suo essere rifiutato perché, appunto, bambino; sia tramite le parole del commissario Kim, nel suo confrontarsi con il comandante Ferriera, nelle pagine del capitolo IX, che, in un unicum, si pongono e come un altro luogo rispetto alla narrazione fin lì condotta ma, altresì, e come cuore del romanzo, ove Calvino espone la sua visione dell’essere partigiano e nazifascista, in una sorta di unico specchio che rimanda una doppia immagine dell’essere umano.
Pin, dicevamo, che, per voler essere accettato dai “grandi”, ruba una pistola a un ufficiale tedesco; propone a tutti le grazie della sorella prostituta; ma, inesorabilmente, finisce con l’essere abbandonato a se stesso una volta che smaschera il tradimento della bella Giglia, moglie di Mancino, col comandante Dritto [e che porterà all’incendio del casolare ove la brigata partigiana di Pin si rifugia]. Solo Cugino capirà chi è Pin, il suo bisogno di essere amato; e dopo la tragedia finale non detta ma intuibile i due se ne andranno tenendosi la mano.
È un romanzo tutto sommato breve Il sentiero dei nidi di ragno, con un che di cinematografico ove le scene dell’ipotetico film coincidono con i quadri narrativi dati dalle situazioni vissute da Pin; perfino i nidi di ragno del titolo hanno una valenza, per così dire, circolare: da luogo dove Pin nasconde la pistola rubata al tedesco a luogo ove il traditore Pelle, a sua volta, la ruberà per regalarla alla sorella di Pin. E con la quale Cugino…
Scritto al tempo presente, s’è detto, e con un linguaggio spiccio, il parlato comune: niente fronzoli per raccontare il dramma post 8 settembre 1943, vissuto personalmente dall’Autore; registro che cambia nel citato capitolo IX: è qui che Calvino ci dice che l’essere umano ragiona e si comporta allo stesso modo, nero o rosso che sia. Ed è proprio nel capitolo IX [oltre che, naturalmente, nel corso di tutto il romanzo] che emerge l’onestà intellettuale di Calvino: il dialogo Kim – Ferriera è la punta del dubbio che attanaglia i compagni della brigata di Pin: si combatte insieme ma la visione, il perché, si combatta non è, né può essere, unitaria. Perché Carabiniere è diventato partigiano? E Lupo Rosso?
Lupo Rosso non lo guarda nemmeno in faccia: – L’estremismo, malattia infantile del comunismo! – dice a Pin
E Cugino?
– Dite quel che volete ma la guerra secondo me l’han voluta le donne.
Una lezione importante per l’essere umano.
È triste essere come lui, un bambino nel mondo dei grandi, sempre un bambino, trattato dai grandi come qualcosa di divertente e di noioso; e non poter usare quelle loro cose misteriose ed eccitanti, armi e donne, non potere far mai parte dei loro giochi. Ma Pin un giorno diventerà grande, e potrà essere cattivo con tutti , vendicarsi di quelli che non sono stati buoni con lui: Pin vorrebbe essere grande già adesso, o meglio, non grande, ma ammirato o temuto pur restando com’è, essere bambino e insieme capo dei grandi, per qualche impresa meravigliosa.
Buona e istruttiva lettura.