Recensione a “I santi non esistono e gli eroi son tutti morti” romanzo di Dario Stefano Villasanta

“I santi non esistono e gli eroi son tutti morti” romanzo di Dario Stefano Villasanta

Recensione a cura di Beniamino Malavasi

Bene. Lettura terminata; e la recensione? Beh, facile, no?

Ricordando come:

In ogni posto c’è un’altra città che vive da sola e io abito lì

Verrebbe da prendere l’ottima Prefazione di Alessandro Bastasi, farne una parafrasi, et voilà le jeux sont fait! Semplice, no?

E senza richiamare la Milano sporca di Giorgio Scerbanenco, senza affannarsi su definizioni come quelle di thriller, poliziesco, noir perché, in fin dei conti:

Bisogna dare un senso anche ai morti per poter vivere.

Certo, Paul Kersey potrebbe accampare royalties per lo sfruttamento di diritti d’immagine ma è facile immaginare che, quali uomini di mondo, lui e Dax troveranno un accordo.

A proposito della Milano, non da bere ma da “farsi”…, di Villasanta viene in mente ciò che disse (o predisse) un ebreo palestinese di ampie (e future) vedute, per di più amico di tale Lazzaro (Do you know?), vissuto anni fa:

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità [Mt 23,27-28]

Certo, quelli bravi direbbero che I santi non esistono e gli eroi son tutti morti è la conclusione della trilogia Romanzi di strada iniziata con Angeli e folli: il prezzo e proseguita con Nella pancia del mostro.

Direbbero che i capitoli di I santi non esistono e gli eroi son tutti morti sono strutturati in prima o in terza persona a seconda di come l’Autore vuole coinvolgere il lettore.

Direbbero che gli incipit di più capitoli sono riflessioni, spesso amare, che l’Autore fa sullo stato dell’arte della natura umana e sullo Stato, inteso come insieme di istituzioni che dovrebbero stare accanto a chi non ce la fa da solo, a chi chiede aiuto, a chi non sa che farsene della sua vita. Dovrebbero…direbbero:

Colonnello Nathan R. Jessep: Lettore, vuoi delle risposte?

Lettore: Ritengo di averne il diritto.

Colonnello Nathan R. Jessep: (incalzando) Tu vuoi delle risposte?

Lettore: lo voglio la verità!

Colonnello Nathan R. Jessep: Tu non puoi reggere la verità.

Ma, forse, a proposito di vita (e di risposte), a quelli bravi passerebbe sotto il naso come nulla fosse un capitolo di questo libro e intitolato La ragnatela. Un capitolo particolare, un “fermi tutti: facciamo il punto della situazione”; un capitolo nel quale Dario Stefano Villasanta innesta una riflessione che, sulle prime, suona anodina ma che, riletta, beh, leggiamola insieme:

Il ragno è maestro in qualcosa che non è per tutti: il tempo. Il ragno nella trama di una storia è la vita.

Subito due collegamenti.

Il primo, quanto al tempo:

In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso. 1. Per il Tempo! 2. Invero l’uomo è in perdita, 3. Eccetto coloro che credono e compiono il bene, vicendevolmente si raccomandano la verità e vicendevolmente si raccomandano la pazienza. [Il Corano, Sura CIII Al-‘Asr; edizione a cura di Hamza Piccardo. 2006 Newton Compton Editori]

Il secondo, quanto alla vita:

Ahimè, ahi vita! Domande come questa mi perseguono,\D’infiniti cortei d’infedeli, città gremite di stolti,\Io che sempre rimprovero me stesso, (perché chi più stolto di me, chi di me più infedele?)… \La domanda, ahimè, che così triste mi persegue, -Che v’è di buono in tutto questo, o Vita, ahimè? RISPOSTA Che tu sei qui-che esistono la vita e l’individuo,\Che il potente spettacolo continua, e che tu puoi contribuirvi con un tuo verso. [Walt Whitman – Foglie d’erba – Edizione integrale – Versioni e prefazione di Enzo Giachino – Prima edizione «Nuova Universale Einaudi» – 1973]

E poco importa che un clinico di indubbia fama come il Prof. Alfeo Sassaroli parlasse di “catena d’affetti che né io né lei possiamo spezzare” e, di rimando, l’Architetto Rambaldo Melandri affermasse che “siamo tutti pezzi di uno stesso ingranaggio”.

Buona lettura, dunque, ricordando che:

No, non c’è redenzione in questo romanzo. Ma soprattutto non c’è redenzione per una società che crea i disperati e poi li abbandona, destinata anch’essa pertanto all’autodistruzione. [dalla Prefazione Alessandro Bastasi]