Recensione di “Viale dei Giganti”

“VIALE DEI GIGANTI” di Marc Dugain

Recensione a cura di Serena Donvito

Questo libro, pur contenendo nomi diversi, narra la storia di Ed Kemper (nel libro Al Kenner), adolescente in un corpo di oltre due metri e con un quoziente intellettivo molto alto, che il giorno in cui venne assassinato JFK, uccise i suoi nonni paterni con cui viveva.

Kemper/Kenner diventerà in seguito noto per aver ucciso e trattato brutalmente i corpi di diverse autostoppiste.

“Diceva che tutti i problemi cominciano nel giorno in cui usciamo dal ventre materno, è in quel momento che il bambino urla la propria collera, quando passa dal mondo dell’assenza di peso amniotica a quello della gravità, dove non ci si può permettere di dimenticare di respirare.  Se poi la madre scompare, il disincanto è definitivo.”

La lettura di questo libro è stata di forte impatto, e non solo per il suo contenuto, che diventa disturbante nelle ultime pagine. L’Autore non si è soffermato in modo morboso sui delitti, anzi, ho scoperto, a seguito di ricerche fatte in Rete in un secondo momento, che ha omesso alcuni particolari agghiaccianti sul trattamento post mortem che questo serial killer riservava alle donne.

La particolarità della narrazione scelta sta nel fatto che il lettore non empatizza con le vittime. Vediamo tutto dalla prospettiva del protagonista, leggiamo il libro camminando nella mente di quest’uomo, veniamo risucchiati dalle sue parole, dalla sua scaltrezza aiutata anche dell’intelligenza; gli omicidi non sono la parte fondamentale del libro, la psicologia dell’assassino, lo è. L’Autore, come dicevo, non indugia più di tanto sulle ragazze uccise o sull’atto delittuoso in sé, ma analizza, e lo fa dando voce ai pensieri di Kenner, cosa lo ha portato a diventare quello che è.

Spersonalizzare quasi totalmente le vittime lo aiuta a tenere l’interesse del lettore puntato unicamente sul percorso di vita che ha condotto un ragazzino con le doti intellettive di un genio, a diventare uno dei criminali più efferati d’America.

Ho trovato questo metodo narrativo interessante e coraggioso perché, pur non giustificando, ritengo sia sempre più difficile comprendere cosa abbia guidato la mano di Caino piuttosto che provare cordoglio per Abele.

“La sensazione di essere stati abbandonati dalla vita mentre siamo ancora vivi è l’espressione della solitudine assoluta. Nessuno può capirlo né condividerlo. Compiere una distruzione paragonabile all’immensità di questo buco è il solo modo che abbiamo per sopportare questa messa al bando dalla vita, di aggrapparvisi tramite il più sottile dei fili. E una volta che l’irreparabile è stato commesso, ci si aspetta una cosa sola, immagino, ovvero che la società, attraverso i suoi rappresentanti, tagli quel filo.”