Recensione di “Vento dell’Est: vento dell’Ovest”

“VENTO DELL’EST: VENTO DELL’OVEST” di Pearl S. Buck

Recensione a cura di Serena Donvito

“È mio marito che m’ha mutata; adesso, nonostante le mie premure, oso parlare, in favore dell’amore, contro gli antenati. Ma nel farlo, tremo.”

Questo libro è spiazzante soprattutto per un motivo: la poesia con cui la penna dell’Autrice riesce a descrivere anche le pratiche più agghiaccianti delle tradizioni cinesi. Non c’è mai rancore o giudizio chiaramente palesato, ma l’esposizione del modo arrendevole in cui determinate consuetudini venivano accettate da chi, nascendo e crescendo con quei costumi, non riusciva a coglierne i lati dannosi.

Matrimoni combinati in tenera età, o, addirittura, prima che il bambino/bambina nascesse. L’uccisione delle neonate, soprattutto se di mamme schiave. Il totale svilimento della donna, destinata a diventare proprietà del marito e a occupare le sue giornate in funzione della cura della bellezza, per allietarlo. La pratica della fasciatura dei piedi, che con atroci dolori le bambine sopportavano perché le donne dovevano avere il piedino piccolo per essere belle. Vivere tra concubine e i vari figli di ognuna. Fratelli che a una certa età venivano separati dalle sorelle per vivere in aree delle corti riservate agli uomini. Diventare di proprietà della famiglia del marito, una volta sposata.

Tutto ciò ci viene raccontato in modo innocente da Kwei-Ian, ragazzina che lascia la casa dei genitori dopo il matrimonio con l’uomo a cui era stata promessa. C’è una cosa però che stravolge la vita della ragazza. Suo marito ha studiato in Occidente, ha toccato con mano la diversità del ruolo della donna e non accetta che sua moglie si riduca a vivere come un soprammobile al solo scopo di accontentarlo. Paradossalmente, all’inizio, sarà proprio il desiderio di far funzionare il suo matrimonio in rispetto delle tradizioni e doveri di moglie, che spingerà Kwei-Ian ad avvicinarsi alle innovazioni poste dal marito. A quel punto inizierà un percorso che la metterà in contrasto con quello che le famiglie, fortemente ancorate alle usanze, si aspettano, ma che le aprirà la mente, soprattutto quando suo fratello che non vede da anni, le chiederà aiuto.

“Di dove mi viene il coraggio per fare ciò? Sono la timida creatura di sempre, e lasciata a me stessa non vedrei in quel che faccio altro che male. Persino in un frangente come l’attuale vedo nel fondo del cuore materno: e sarei tentata di dirle che, secondo l’antica costumanza della nostra gente, ha ragione lei.”

Un libro davvero ben scritto, che cala totalmente il lettore in realtà in parte ancora esistenti, e non solo nella cultura tradizionale cinese. Una storia colma di contrasti, combattimenti interiori, consapevolezze. Una storia di apertura e rinascita, primo libro di questa scrittrice che in seguito, nel 1931, ha vinto il “Premio Pulitzer” con l’opera “La buona terra”.