Recensione di “Una pace perfetta”

“UNA PACE PERFETTA” di Amos Oz

Recensione a cura di Serena Donvito

La vita di Yoni e Rimona, Hava e Yolek, e degli altri abitanti del kibbutz Granot scorre avvolta da una tranquillità apparente in cui ognuno recita diligentemente la sua parte. Ma un giorno d’inverno arriva Azariah, ragazzo apparentemente ingenuo tanto quanto entusiasta, che porrà fine alla vita che ognuno di loro aveva condotto fino a quel momento.

“Io che ho trascorso la vita nella sterile contemplazione dietro i vetri della mia finestra, dopotutto so che non c’è scampo: il dolore è infisso nell’ordine delle cose. E in fondo lo cerchiamo come fa la falena quando si butta nel fuoco, lo cerchiamo in tutto ciò che facciamo, di bene e di male, nei nostri impulsi sessuali, nel nostro immaginario più occulto, nelle idee, nella paternità, nell’amicizia, nell’arte, persino nel nostro richiamarci al bisogno di ridurre la sofferenza, persino lì è riposta la segreta aspirazione a procurare e infliggerci dolore.”

Questo romanzo è l’ennesima dimostrazione che la scrittura di Oz non è per tutti. Per amarlo devi essere disposto a lasciarti completamente fagocitare dalla sua penna, farti guidare nei lati più oscuri dell’animo umano. Devi essere disposto a toccare con mano il dolore, sapendo che questo immenso Autore non scriveva mai nulla per caso. Ogni frase è una possibile freccia che ti colpirà lì dove fa più male; però, poi ti premia e ti consola con le sue meravigliose descrizioni, che usa per permetterti di metabolizzare il tutto, avvolto dalla quiete e dalla bellezza.

Ci sono diversi modi per descrivere la sofferenza, la solitudine, la malinconia, i rimpianti e i rimorsi. Oz, in questo libro, li personifica. Ogni personaggio rappresenta letteralmente uno stato d’animo. In queste pagine si viaggia attraverso la voglia di stabilità, ma anche alla ricerca di quella pace data dall’assenza di legami e responsabilità. A volte si passa la vita a incolpare gli altri della nostra infelicità, fino a che, dopo aver ottenuto ciò che tanto bramavamo, sopraggiunge la consapevolezza che, non solo eravamo noi stessi la causa della nostra infelicità, ma eravamo colpevoli anche di quella altrui.

In queste righe c’è la ricerca di uno scopo che possa rendere più sopportabile la vita che si è scelto di accettare, anche solo per il poco coraggio di cambiarla.

Spesso, nella narrazione, viene introdotto il gioco degli scacchi, ed effettivamente è anche così che si può descrivere questa storia: diversi pezzi vengono messi in scena, c’è chi gioca d’astuzia, c’è chi affronta la partita in modo più irruente, cambiano le posizioni, i ruoli, ma, alla fine, lo scopo è “mangiare” il più debole e prenderne il posto.

“La terra è indifferente. Il cielo è immenso e indecifrabile. Il mare? Misterioso. Le piante. Le migrazioni degli uccelli. La pietra tace sempre. La morte è forte, tanto, presente ovunque. Siamo tutti impregnati di crudeltà. Ognuno di noi è un po’ assassino: se non con gli altri, con se stesso. L’ amore, ancora non lo afferro, e certo non farò in tempo a imparare. Il dolore è un fatto compiuto. Ma malgrado tutto ciò, so anche che possiamo fare qualcosa. Possiamo, e perciò siamo tenuti a farlo. Tutto il resto – chi lo sa?”