Recensione di “Morto che parla”

“MORTO CHE PARLA” di Rex Stout

(l’edizione in commento fa parte della raccolta intitolata “Chi ha paura di Nero Wolfe? Sei indagini in poltrona” VI Edizione Omnibus Gialli aprile 1983 – Arnoldo Mondadori Editore)

Recensione a cura di Beniamino Malavasi

Asociale, misogino, avido, egocentrico; impossibile smuoverlo dai suoi orari, dalla sua casa, dalla sua serra; acuto osservatore, attento ascoltatore. Chi penserebbe che un distinto signore con tali qualità risponda al nome di Nero Wolfe, al secolo uno dei più brillanti investigatori privati sulla piazza?

L’omicidio del direttore dell’Ufficio Controllo Prezzi (cui segue, pochi giorni dopo, quello della sua segretaria) getta la polizia nello sconforto, anche perché i maggiori sospettati sono i dirigenti dell’Associazione Industriali, ente contrapposto all’Ufficio Controllo Prezzi.

Chi, se non Wolfe, riuscirà a smascherare l’assassino consegnandolo alla giustizia?

Inquadrati i personaggi che si muovono sullo scacchiere elaborato da Stout, “Morto che parla” si legge con interesse; anzi, in certi momenti, è difficile non ridere grazie all’ironia che pervade i dialoghi intercorrenti tra Wolfe e il suo braccio destro Archie Goodwin.

È proprio Goodwin a fungere da narratore della vicenda, strutturata dall’Autore con una sorta di doppio finale dove, nel primo, Wolfe affida il colpevole alle forze dell’ordine e, nel secondo, spiega come abbia fatto ad arrivare alla soluzione.

Poliziesco induttivo classico dove, alla fin fine, nessuno dei protagonisti si prende troppo sul serio.

Mitico.