Recensione di “Maigret e il ladro pigro”

“MAIGRET E IL LADRO PIGRO” di Georges Simenon

Recensione a cura di Beniamino Malavasi.

Conosciuto anche con il titolo “Maigret e il ladro indolente” e pubblicato in Italia per la prima volta nel 1966 nell’edizione qui in commento, il romanzo in oggetto ha un sapore particolare.

Innanzitutto per il tempo dei verbi. Invero se, normalmente, la narrazione in terza persona predilige il passato remoto, qui la scelta (dell’Autore? Del traduttore?) è caduta sull’imperfetto, rendendo così le azioni compiute dai vari soggetti di durata indefinita.

In secondo luogo, il ritmo narrativo. Abituati come siamo alla scrittura moderna dove, specie nei thriller o, quanto meno, nei giallo-polizieschi, tutto va veloce, qui… no. È come se ogni movimento, ogni gesto, ogni riflessione, avvenisse al rallentatore…

Ma ciò che colpisce è l’attualità di certe affermazioni del disilluso Commissario Maigret:

La gente s’immagina, caro Pardon, che la nostra funzione sia di scoprire i delinquenti e di ottenerne le confessioni. È un’altra di quelle idee sballate come ce ne sono tante in giro e alle quali si fa così bene l’abitudine che nessuno pensa a verificarle. In realtà, il nostro compito principale è di difendere lo Stato, prima di tutto, il governo, quale esso sia, le istituzioni, poi la moneta e i beni pubblici, quelli privati e alla fine, ma proprio dopo tutto, la vita degli individui…

E così Maigret, a fronte degli ordini superiori di dar la caccia a una banda dedita alle rapine (difesa della moneta), si dedica clandestinamente all’indagine sulla morte di Honoré Cuendet, un ladro fuori dagli schemi, quasi “gentiluomo” e vecchia conoscenza del Nostro; morte frettolosamente archiviata dai “capi” come regolamento di conti.

Simenon pone al centro del suo scritto la persona, l’essere umano, e il lettore non può non fare il tifo per il Commissario con la pipa affinché renda giustizia al ladro… pigro.

Finale amaro.

Buona lettura.