Recensione di “Lo stendardo di Giove”

“LO STENDARDO DI GIOVE” di Emanuele Rizzardi (con nota critica di Guido Borghi)

Recensione a cura di Beniamino Malavasi

Dopo L’usurpatore ( qui la recensione ), Emanuele Rizzardi torna ad affrontare uno dei (tanti) momenti chiave che hanno costellato la (lunga) vita dell’Impero Romano: la battaglia del Frigido, combattuta nel settembre del 394 d.C., il cui esito sancì (temporaneamente) la fine della divisione amministrativa dell’Impero in Occidentale e Orientale, con Teodosio divenuto (ritornato, vista la sua influenza sulla scelta del “collega” occidentale) unico Augusto romano.

È un romanzo d’attesa Lo stendardo di Giove.

Come nel lungometraggio Mezzogiorno di fuoco (titolo originale: High Noon) lo spettatore condivide con lo sceriffo Willy Kane (interpretato dal monumentale Gary Cooper) gli stati d’animo, il confronto con i suoi concittadini e, soprattutto, il lento scorrere delle ore che lo porteranno allo scontro finale con il cattivo Frank Miller (interpretato da Ian MacDonald) e i suoi scagnozzi, così ne Lo stendardo di Giove è il lettore a essere accompagnato negli accadimenti verificatisi tra la morte dell’Imperatore d’Occidente Valentiniano II e lo scontro (inevitabile) con il Signore d’Oriente Teodosio.

Ma gli esiti dei due confronti (quello cinematografico e quello storico) sono, come oggi si sa, diametralmente opposti nonché, per motivi intuibili, scontati.

Ama quelli che Steve Jobs avrebbe definito “affamati e folli” Emanuele Rizzardi. Dopo Alessio Filantropeno ne L’usurpatore ecco Arbogaste ne Lo stendardo di Giove: entrambi valenti uomini d’arme, entrambi con una visione del mondo altra, diversa da quella che stavano vivendo, entrambi destinati a soccombere perché, principalmente per Arbogaste: indietro non si torna.

Il filosofo Karl Marx scrisse che “La religione è l’oppio del popolo”.

Emanuele Rizzardi, da bravo storico qual è, focalizza l’attenzione del lettore su quel momento delicato, non facile come lo sono tutte le transizioni socio-culturali, del passaggio dal credo politeistico (il cosiddetto paganesimo) a quello monoteistico (il cristianesimo “di Nicea”). Transizione che, come ovvio che sia, investe non solo la sostituzione di un’Entità superiore da pregare con un’altra ma anche, e di conseguenza, chi deve detenere il Potere (politico-militare) collegato (piaccia o non piaccia) all’Entità “vincitrice”.

E qual è la parte di mondo che più soffre questa lacerazione interna? L’Occidente.

Lo Stendardo di Giove è un romanzo storico.

È un testo che, benché sia ambientato nel IV sec. d. C., se letto con l’attenzione che merita, si rivela più che mai attuale vista la crisi di identità che (paradossalmente) sta vivendo proprio il cristianesimo “romano” a fronte dell’avanzare di un’altra religione monoteista (ma frammentata al suo interno): l’Islam.

Ed è un testo nel quale il suo Autore osa, contrapponendo ai paladini del cristianesimo dell’epoca, i realmente esistiti Teodosio e il Vescovo di Milano Ambrogio, una donna, in realtà non esistita, ma il cui nome richiama una delle “dee più complesse e contraddittorie del pantheon celtico” (fonte: Wikipedia): Brigantia.

A quest’ultimo riguardo un plauso va fatto Guido Borghi e alla sua “Nota critica”, posta in calce al romanzo, ove vengono approfonditi gli elementi di onomastica letteraria, e non solo, ripresi e utilizzati nel testo di Rizzardi.

Complimenti a entrambi e buona lettura a tutti!