Recensione di “Le cose che non ho detto”

“LE COSE CHE NON HO DETTO” di Azar Nafisi

Recensione a cura di Serena Donvito

Appena iniziata la lettura ho avuto la sensazione di avere tra le mani un gioiellino; dopo aver letto l’ultima pagina non ho potuto far altro che confermare la mia prima impressione.

È stato, per me, un viaggio completo, che ha racchiuso tutto ciò che amo nei libri:

  • ll racconto del contesto storico: in questo caso la storia iraniana della seconda metà del XX secolo…

“Il malcontento si scatenò dopo l’approvazione di un nuovo disegno di legge che dava il diritto di voto alle donne e permetteva anche ai non musulmani di candidarsi al parlamento. Il disegno di legge, annunciato l’8 ottobre 1962, innescò una violenta reazione nel clero, istigata soprattutto dall’ayatollah Ruholla Khomeini.”

  • Approfondimenti letterari: l’Autrice menziona e approfondisce diversi scritti di autori iraniani e il messaggio che attraverso essi trasferivano…

“La nostra poesia migliore è sempre stata di rottura e trasgressiva nel rimodellare la realtà e la nostra percezione di essa.”

“Le donne, costrette nella realtà a subire tanti divieti, nel mondo della finzione diventavano personaggi ribelli, che rifiutavano di sottomettersi alle antiche imposizioni.”

  • Personaggi perfettamente caratterizzati attraverso le loro azioni: non solo componenti della famiglia, ma diverse personalità della storia politico/religiosa…

“Per anni avevo covato sogni di vendetta, non solo per mio padre, ma per tutti i dissidenti che erano stati arrestati e torturati, e per il terrore che la SAVAK aveva istillato nel cuore della gente. Per anni avevo visto in quell’uomo un vile oppressore, e aspettavo solo che venisse punito. Ma quando lo vidi in televisione capii quanto fosse facile diventare vendicativi e spietati come quelli che avevamo condannato.”

  • La storia vera di una famiglia: la sua.

“Ma le fotografie, le descrizioni, persino i fatti, non bastano. Rivelano alcuni dettagli, ma sono solo dei piccoli frammenti senza vita. Quello che sto cercando sono i vuoti, i silenzi. Per ritrovare il passato bisogna scavare. Passare al setaccio i detriti, raccogliere qua e là un frammento, catalogarlo, registrare il luogo, l’ora e il giorno della scoperta.”

Questa è la vera storia di Azir Nafisi (conosciuta ai più per il suo libro “Leggere Lolita a Teheran”); l’Autrice ce la racconta partendo dall’infanzia e dal rapporto con i genitori.

Un padre (sindaco di Teheran) che la inizia all’amore per la letteratura, e una madre (prima donna eletta in parlamento) rigida, emotivamente instabile, che non riesce a proteggerla.

Il rapporto con i suoi genitori è una parte fondamentale del libro: assistiamo all’evoluzione del modo che Azar ha di percepirli e insieme a lei realizziamo che non è sempre tutto facile da spiegare, che a volte le cose non stanno come si crede, e che crescere ci permette di gettare luce là dove le certezze, in fondo, erano già instabili.

Proseguendo, ci troveremo faccia a faccia con il coraggio che questa donna, socialmente esposta, ha mostrato andando contro il regime. L’amore per la letteratura l’ha sempre guidata nella ricerca di ciò che è giusto, ed è lì che ha sempre trovato le sue risposte.

Il libro si apre con la storia della sua famiglia, e con essa si chiude, lasciandoci una profonda amarezza per quello che una storia non troppo lontana ha permesso, per la sensazione che in qualche modo quello stesso clima stia riuscendo nuovamente a insinuarsi, e con la consapevolezza che:

“Io non credo che si debba rimanere zitti. Del resto, non restiamo mai davvero zitti, perché, in un modo o nell’altro, ci raccontiamo attraverso le persone che diventiamo.”

Questo è, a mio modesto parere, uno di quei libri che non possono mancare nelle nostre librerie.