Recensione di “La saga di Vigdis”

“LA SAGA DI VIGDIS” di Sigrid Undset

Recensione a cura di Serena Donvito.

Qual è il valore che diamo alla nostra vita? O, meglio, qual è il valore che diamo al nostro tempo? I nostri obiettivi sono costruttivi o distruttivi? Quanto permettiamo a ciò che ci accade di fagocitarci, facendoci impostare la nostra esistenza su fondamenta che ci logorano giorno dopo giorno?

In questa meravigliosa saga medievale conosceremo Vigdis, una giovane che si innamora di Ljot. L’attrazione tra loro è palpabile, ma Ljot, corrotto da dicerie e offuscato dall’orgoglio, tradisce la fiducia di Vigdis, abusando di lei. È così che comincia la storia, con questo atto ignobile che segnerà la vita di entrambi, e non solo.

“Ora sono come un uccello che si dibatte a terra con le ali spezzate. Non può più allontanarsi da dove è caduto e non può vedere più in là del sangue che ha versato. Se cerco di ricordare il passato, mi viene in mente solo il presente. Se ripenso al tempo in cui ero allegra e spensierata, mi sembra solo una premessa per questa fine.”

Una delle prime cose da dire è che ho amato moltissimo i personaggi femminili presenti in questo libro. Donne forti, che prendono le loro fragilità e le usano come strumento per elevarsi. Vittime solo apparenti perché non permettono alle brutture di annientarle; accusano il colpo, sì, soffrono, sì, ma proseguono a testa alta perseguendo i loro obiettivi.

I personaggi maschili sono analizzati così bene e in modo assolutamente naturale che, nonostante tutto, non riesci a provare rabbia, neanche verso chi dovrebbe naturalmente suscitarla, perché l’Autrice ce li racconta a tutto tondo, analizzando con sapienza le loro personalità, e anche i silenzi e le parole sussurrate diventano ago della bilancia.

Un’altra cosa è la capacità di questa magnifica Scrittrice di trasmettere emozioni, di parlare delle situazioni più dolorose e violente senza mai risultare morbosa, dosando le parole per rendere il concetto, senza spingere troppo, dimostrando così che quando si ha padronanza della storia e della scrittura, non c’è bisogno di strafare per rendere incisivi i concetti o le azioni.

Non nascondo che c’è stato un capitolo che, nella sua naturale e semplice descrizione del dolore, ha richiesto l’uso dei fazzoletti, e ammetto anche che avrei voluto qualche pagina in più per vivere ancora qualche ora con ognuno di loro, ma, anche in questo caso, l’Autrice ha dosato sapientemente, sapendo, secondo me, che avremmo chiuso il libro con la sensazione di voler rimanere aggrappati ancora un po’ a questa storia, facendocela così apprezzare ancora di più.