Recensione di “La misura del tempo”

“LA MISURA DEL TEMPO” di Gianrico Carofiglio

Recensione a cura di Beniamino Malavasi.

Si stava meglio quando si stava peggio?

Ci trovavamo nel bel mezzo degli anni Ottanta. Il degrado morale di quel periodo è rappresentato con efficacia quasi metaforica dalle spalline imbottite. Quando indossavamo giacche o cappotti sembravamo tutti dei manichini, maschi e femmine. Basta guardare le foto.

Era l’epoca in cui cominciava a mutare in maniera irreversibile il paesaggio sonoro della nostra vita. Un’epoca ancora piena di rumori e suoni che oggi non esistono più.

“La misura del tempo” racconta un nuovo capitolo dell’esistenza e dell’attività professionale dell’avvocato Guido Guerrieri, uno dei personaggi di maggior successo della produzione libraria di Gianrico Carofiglio.

Candidato al prestigioso “Premio Strega” “La misura del tempo” è scritto in italiano corretto. Soggetti, verbi, punteggiatura sono inseriti con tempi e modi appropriati: sembra persin superfluo rimarcarlo ma, di questi tempi, ciò sembra più una eccezione che la regola.

Tuttavia… Tuttavia il romanzo “non prende”.

Addirittura pedante nei capitoli processualistici, ove l’Autore (già ex magistrato) snocciola articoli su articoli del codice di procedura penale, quasi quello in esame fosse un manuale tecnico per aspiranti operatori del diritto e non (sempre con rispetto parlando) un romanzo, è nella parte narrativa che lo scritto lascia perplessi.

Tralasciando le osservazioni politicamente orientate che Guerrieri/Carofiglio espone (ma senza contraddittorio, quasi fossero verità incontrovertibili) al lettore, è il generale senso di stanchezza (“pigrizia” sembra eccessivo) che sembra emergere dalle pagine del libro.

La trama si snoda sul doppio binario presente-passato: il Guerrieri di oggi che si interroga sul Guerrieri di ieri; catalizzatore di questo esame interiore è un vecchio, rimasto in sospeso, amore di Guerrieri, nella persona di Lorenza Delle Foglie – donna dall’indubbio fascino incapace di dare una linea guida alla propria vita – che vede il proprio figlio accusato di omicidio.

Di fatto, così come all’epoca del loro incontro, anche oggi (come si scoprirà nell’epilogo del romanzo) è Lorenza a manipolare gli eventi e, di conseguenza, le azioni di Guerrieri.

Idea buona ma, ad avviso di chi scrive, Carofiglio pecca di mordente: l’esposizione è piatta; i colpi di scena che ci si aspetterebbe in un legal thriller degno di questo nome latitano. Lo stesso epilogo pare congegnato più per dare al lettore l’auspicato “lieto fine” che come logica chiusura della trama (la quale, forse, avrebbe reso di più troncandola ultimata la lettura della sentenza di appello…).

Peccato.

Si stava meglio quando si stava peggio?

Col tempo un ricordo non raccontato diventa sempre meno vero. Per poi confondersi con materiali ancora più impalpabili della nostra mente: sogni, fantasticherie, leggende private.”