Recensione di “La casa delle voci”

“LA CASA DELLE VOCI” di Donato Carrisi

Recensione a cura di Beniamino Malavasi

Manipolare è il verbo reggente quest’ultimo romanzo di Carrisi.

Manipolare, che il vocabolario della lingua italiana afferma essere voce dotta derivante dal latino manĭpulus “manipolo”, da intendersi nel senso di condizionare, manovrare (in particolare) le menti.

Quali menti?

Beh, in primo luogo, quella del protagonista: Pietro Gerber, figlio d’arte, psicologo infantile, esperto nell’uso della tecnica ipnotica.

Sul chi intenda (o abbia inteso) manipolarlo basta leggere il libro; in ogni caso si tratta di poche, anzi, pochissime persone (alquanto insospettabili).

Sul perché agiscano (o abbiano agito) in quel modo torneremo a breve.

Anche la seconda mente manipolata è facile intuire a chi appartenga: al lettore.

E qui, soggetto manipolatore, è uno solo: l’Autore.

In una Firenze cupa, attraversata da temporali, Carrisi conduce il lettore in un viaggio, persino troppo lungo, che, a ben guardare, manca di un perché.

Invero – e qui ritorniamo al primo “perché – se alla fine del cammino risulta chiaro il motivo che ha indotto uno dei soggetti della trama – anzi, a essere obiettivi, il vero soggetto, per non dire il vero protagonista di essa – ad adottare quel comportamento, meno intuibile è il secondo “perché”, ovvero il presupposto sul quale si regge l’intero impianto narrativo.

Perché o, meglio, perché proprio ora, a Pietro Geber è accaduto quel che è accaduto?

Libro che si fa leggere “La casa delle voci” anche se, nonostante il discreto ritmo narrativo, come accennato, qualche pagina in meno avrebbe sollevato il lettore da alcune pesantezze di troppo.

“Nessuno vuole veramente ascoltare ciò che hanno da dire i bambini.”