Recensione di “Amore”

“AMORE” di Luigi Candita.

Recensione a cura di Beniamino Malavasi

“Le parole a volte sono così leggere

Come nuvole sospinte dal vento

 E quando troppo lontane per essere viste

Se ne perde ogni significato.”

No, non è facile parlare di, illustrare un, commentare un libro dopo aver letto la molto più che esauriente prefazione di Francesca Ghiribelli.

Invero, al pari di un vero e proprio saggio, lo scritto di Ghiribelli scava, sviscera, espone al lettore ciò che questi troverà nelle pagine successive di “Amore”; e lo fa in modo puntuale.

È dunque lecito affermare non ci sia più spazio per una riflessione altra, diversa, ulteriore rispetto a quella che si incontra appena aperto il libro in esame?

Non proprio…

Paradossalmente è proprio un quesito di Candita a suggerire la risposta al quesito di cui sopra:

“ma non sarebbe più bello

vivere noi stessi

e non immaginare d’esser chissà chi?”

Che può essere letto come: “Pensiamo con la nostra testa senza bisogno di emulare altri”

Ne discende che: tu lettore sei un unicum, quindi sei libero di dire ciò che tu pensi.

Bene: ma da dove partire?

Ghiribelli ha tracciato la via, indicato la direzione del cammino; possiamo considerare il suo scritto l’alfa. E se noi partissimo da omega, la fine?

“Amore” ha una impostazione narrativa peculiare; e quale miglior indicatore dell’Indice – collocato, appunto, in fondo al libro – può fornirci un indizio sostanzioso su come il nostro libro è composto?

Scopriamo così che “Amore” è suddiviso in sezioni nelle quali l’Autore – quasi si trattasse di un elaborato esercizio di stile – ha dato prova di sapersi destreggiare tanto nella forma del racconto quanto in quella della poesia. E non è poco, anzi.

Perché:

“La vita continua,

non possiamo fermarla,

ma lei può fermare noi

se per un’istante lo permettiamo,

lasciandoci andare per sempre”

Già: perché? È quello che si chiede Luigi Candita nel suo “Ritornello”…

Esiste un filo – seppur sottile – conduttore, il mitico fil rouge, in grado di unire i mattoncini che compongono “Amore”?

La risposta più semplice sarebbe il titolo stesso: “Amore”.

Eppure… eppure, a ben guardare, come evidenziato anche da Ghiribelli nella sua “Prefazione”, è Luigi Candita, novello Pollicino, ad aver disseminato, qua e là, indizi su tale legame. E il primo a balzare agli occhi è l’oblio, quel senso di dimenticanza, di essere dimenticato. Dimenticanza, perdita, che serpeggia tanto nei racconti quanto nelle poesie; a volte chiaramente, a volte in modo criptico.

D’altra parte è lo stesso Candita a metterci in guardia:

“Purtroppo l’amore è come l’odio, è una grave malattia che fa solo soffrire.”

L’Amore è dunque da evitare?

Se ci si riferisce al sentimento, Luigi Candita è chiaro:

“Sono libero, vivo di emozioni

e mi nutro di sensazioni…

… sto male e son felice così…”

Se ci si riferisce al libro, Luigi Candita è chiaro:

“Per cui, ti prego,

non domandarmi altro…”: compratelo!