Recensione de “Il genio infelice”

“IL GENIO INFELICE” di Carlo Vulpio.

Recensione a cura di Alessandra Ottaviano.

“Il genio infelice” racconta in forma romanzata la vita tormentata di Antonio Ligabue, il celebre artista italiano del ‘900.

Nato a Zurigo da una ragazza madre, disconosciuto dal padre biologico e maltrattato da altri due padri putativi, Antonio Ligabue fu uomo fragile, solitario, un genio visionario, testimone di un secolo di distruzione e follia.

Vulpio ci narra la storia commovente di questo pittore incompreso e reietto che amava la solitudine dei boschi; che preferiva la compagnia degli animali a quella degli uomini, dai quali si sentiva rifiutato; e che fu internato tre volte in manicomio (dove fu risparmiato dalla lobotomia solo perché in Italia non era ancora praticata).

Si trovò a poter usufruire di tutte le conquiste della scienza destinate ai pazzi: la camicia di forza, le catene, il letto di contenzione, il casco del silenzio .. lo shock insulinico, la macchina per la terapia elettroconvulsivante, meglio nota come elettroshock.

L’Autore tratteggia in maniera precisa la società contemporanea a Ligabue e gli accadimenti storici del periodo, veri e propri tempi bui e folli: l’avvento di Mussolini e delle squadracce fasciste, le leggi razziali, le deportazioni degli ebrei, la Guerra (che Ligabue schivò a causa della sua salute cagionevole derivante dalla malnutrizione e dall’epilessia), le tessere annonarie, la fame e la miseria, le guerriglie partigiane e l’alluvione del Polesine.

Inquietudine, smarrimento e follia emergono prepotentemente dalle sue opere, ponendoci un quesito atavico e sempre aperto:  qual è il limite tra genialità e pazzia?

Le belve feroci che disegna rappresentano gli uomini, l’umanità che lo deride, lo provoca, lo maltratta, lo teme e lo rifiuta.

Finalmente, nel 1961, grazie all’amicizia fraterna con Augusto Agosta Tota, il talento di Antonio Ligabue viene riconosciuto appieno e una mostra personale a Roma ne consacra il genio (al riguardo, nel romanzo sono riportati stralci del toccante articolo che il noto giornalista Indro Montanelli scrisse in occasione della mostra).

Carlo Vulpio riesce ad esaltare il forte contrasto presente nell’Artista: un individuo ai limiti, un diverso, una personalità difficile, oscura e contraddittoria, con le sue opere che sono un inno alla creatività, alla libertà, alla natura e alla bellezza, dando così vita a un romanzo commovente.

Un attore della tragedia greca, un coreuta, cantore e danzatore insieme. Si contorceva, imitava i versi degli animali, emetteva lamenti come le prefiche nelle cerimonie funebri, intonava motivi laceranti di cantiche disperate. Intanto dipingeva come in preda a un’estasi, a una trance agonistica che lo portava a scorticarsi le mani e il volto contro il muro, a pugni e a testate.