Recensione a “Puttane assassine” di Roberto Bolano

“PUTTANE ASSASSINE” di Roberto Bolaño

Recensione a cura di Antonella Raso

Questo romanzo è una raccolta di racconti che ha come protagonista l’avatar dell’Autore o, comunque, personaggi vicini a Bolaño, come lo scrittore fallito/insegnante di scrittura Gomez Palacio.

Il libro ci parla della solitudine, dei viaggi come metafora della ricerca di sé stessi, della condizione degli esuli in terra straniera.

Il racconto Puttane assassine (che dà il titolo al volume), con un monologo che finge di essere un dialogo, racconta della vendetta di una donna – che è tutte le donne del mondo – che sevizia un uomo – che è tutti gli uomini del mondo – convinto di potersi servire della donna come di un oggetto.

Per questo Autore cileno il rapporto con le prostitute è sempre stato importante – può darsi che le loro attenzioni mercenarie fossero per lui la migliore conferma che il tempo è denaro – ma, in fin dei conti, per un uomo che ha sempre dato valore al tempo è irrilevante stabilire cosa intendesse con esattezza.

É un romanzo ricco di spunti, scritto in una lingua mai spigolosa, ma non per questo banale, utilizzando a intervalli alterni la prima e la terza persona.

Questo suo ultimo libro pubblicato in vita non può, dunque, essere letto in senso testamentario: resta, tuttavia, un’opera importante.

Magia nera, prostituzione, complessi rapporti padre/figlio, amore per la letteratura e morte, sono alcuni dei temi emergenti di questa raccolta che invitano a profonde riflessioni.

Consapevole di avere il destino compromesso da una malattia degenerativa del fegato, Roberto Bolaño investì le sue ultime ener­gie in un «mostro» che lo «divorava»: 2666, il romanzo fiume uscito postumo un anno dopo la scomparsa.