Recensione a “La versione di Mike”

“LA VERSIONE DI MIKE” di Mike Bongiorno (con Nicolò Bongiorno)

Recensione a cura di Beniamino Malavasi

Mi chiamo Michael Nicholas Salvatore Bongiorno, senza la u”.

Mi resi conto che non avevo delle vere e proprie radici, appartenevo a tutti e a nessuno di questi luoghi”.

La versione di Mike, corposa (356 pagine di testo, oltre ad appendici, indici e inserto fotografico) autobiografia di uno dei più iconici, e professionalmente longevi, presentatori (e non solo) radio televisivi italiani (e statunitensi), colpisce soprattutto per le riflessioni molto umane, molto personali, che il Nostro espone senza remore al suo pubblico.

Invero, abituati come siamo a considerare il mondo dello spettacolo composto da alieni, soggetti sempre perfetti, benestanti, non toccati dai problemi che, quotidianamente, assillano le persone “comuni”, constatare come “uno di loro” abbia, più volte, vista la morte da vicino, specie quando la morte ha le sembianze di un plotone di esecuzione nazista, fa riflettere…

“C’era anche un altro problema, che parlare di partigiani significava far nascere un vespaio perché per gli americani i partigiani erano solo comunisti. Mio padre era un po’ più aperto sulla questione, lui aveva preso una posizione molto netta contro Mussolini e il fascismo sin dalle leggi razziali del ’38, ma comunque l’ambiente che lo circondava era piuttosto rigido e tutto veniva interpretato alla luce dei soli affari interni americani.”

Non solo l’essere a un passo dalla Fine, ma l’essere (di fatto) cresciuto senza una famiglia fa comprendere come anche l’alieno, l’idolatrato uomo di spettacolo, sia pur sempre un essere umano:

“Quando si ha sofferto tanto come ho sofferto io, senza vedere una via di scampo, ottenuta la salvezza non si cerca altro che l’affetto di una famiglia in seno alla quale poter rinascere. Questo è quello che io non trovai, e questo ha lasciato in me un vuoto profondo, incolmabile, che per sempre mi porterò dietro.”

Insegnamento importante quello che Mike Bongiorno ha vissuto sulla sua pelle e che ha cercato di trasmettere ai suoi figli:

“Io stesso ho pagato nella mia infanzia il peso degli scontri culturali, tra una visione del mondo all’italiana e una all’americana, che hanno fatto perdere di vista ai miei genitori il mio bisogno di un certo tipo di affetto, di un certo tipo di calore umano. Da allora mi sono ripromesso che non avrei mai fatto mancare un sentimento del genere ai miei figli. Educare è saper trasmettere sicurezza attraverso l’amore.”

Un plauso va, poi, fatto al Bongiorno “pubblico”: pur avendo aiutato Silvio Berlusconi a creare dal nulla la televisione commerciale, spezzando il monopolio RAI, ha resistito alle chiamate a scendere pure lui nell’arena politica, confermando il ruolo super partes che l’uomo di spettacolo deve avere:

“Sono fermamente convinto che da un punto di vista politico non devo essere impegnato per rispetto verso il pubblico. Ci sono persone di destra, di sinistra e di centro. Quando si siedono davanti al video vogliono vedere in Bongiorno il presentatore, non il nemico o l’alleato.”

Ci sarebbero altre cose da sottolineare nel testo: dalla querelle futilmente iniziata da Umberto Eco con il suo Fenomenologia di Mike Bongiorno del 1961, al perché Lui, Corrado, Vianello [Raimondo, N.d.r.], Baudo, Costanzo, La Carrà:

“…eravamo, siamo e rimarremo personaggi irripetibili perché essendo arrivati per primi, abbiamo avuto la possibilità di lavorare tantissimo e di imparare a fare tutto… Una volta eravamo solo noi a darci da fare, a pensare ai testi, alle scenografie, ai costumi, e avevamo l’occhio pronto e attento su tutto.”