Recensione a “Infinite Jest”

“INFINITE JEST” di David Foster Wallace

Recensione a cura di Cristina Costa

“…amava i grossi tomi e metteva nell’affrontarli il piacere fisico dell’affrontare una grossa fatica, soppesarli in mano, fitti, spessi, tarchiati, considerare con un po’ d’apprensione il numero delle pagine, l’ampiezza dei capitoli: poi entrarci dentro: un po’ riluttante all’inizio, senza voglia di vincere la prima fatica di tener a mente i nomi, di cogliere il filo della storia…”

Sembra proprio che Italo Calvino abbia pensato a me mentre scriveva questo brano tratto da Gli amori difficili…pensava a me e a Infinite Jest

20 giugno 2020 – 23 agosto 2020

Due mesi in cui ho vissuto come in un flipper virtuale.

Una pallina impazzita completamente alla mercé di David!

Cos’è Infinite Jest?

Infinite Jest è il romanzo imperniato su internet, un libro in cui un intrattenimento compulsivo nega i piaceri fondamentali dell’intrattenimento letterario.

Infinite Jest è il romanzo imperniato sul linguaggio. Continui cambi di registri, di stili, di voci narranti. Il lessico di Infinite Jest è uno dei più estesi della letteratura contemporanea.

Infinite Jest è il romanzo imperniato sui personaggi. Una processione di poveri diavoli, protagonisti o solo comparse, ma tutti trattati dall’Autore con dignità e rispetto: Wallace si impegna a vedere la realtà con i loro occhi.

Infinite Jest è un’opera monumentale…Infinite Jest è semplicemente Wallace.

Infinite Jest: letteralmente “scherzo infinito”.

Lo scherzo infinito del libro è una cartuccia (film) di intrattenimento, un intrattenimento letale proprio perché è l’intrattenimento perfetto.

Chi lo guarda ne viene talmente rapito da perdere la cognizione del tempo, da dimenticarsi di tutti e di tutto, persino di sé stesso, di mangiare, di bere, di respirare, di vivere…

In 1280 pagine, di cui ben 100 solo di note, David Foster Wallace ci porta in un mondo parallelo, dove il tempo è sponsorizzato, gli anni sono chiamati con i nomi dei prodotti più di moda; non c’è il 2002 ma l’anno del pannolone per adulti Depend; il Nord America è formato da Stati Uniti, Canada e Messico, l’ONAN; Boston, la città sfondo alla vicenda, è divisa in due grandi poli: l’ETA (Enfield Tennis Academy) e la ENNET House (Casa di recupero dalle tossicodipendenze).

Qui si snodano le vicende dei personaggi e della famiglia Incandenza il cui padre, James, è l’autore e regista dell’unica e ricercatissima cartuccia letale.

Non è possibile riassumere la trama di questo testo, è un vero e proprio labirinto psichedelico a più livelli.

È un microcosmo e un macrocosmo allo stesso tempo al cui centro ci sono gli Incandenza.

James e Avril con i loro figli Orin, Mario e Hal, un disadattato, un menomato e un tossicodipendente.

Intorno a loro una massa di poveri diavoli imprigionati nella loro gabbia infernale, incapaci di venirne fuori.

“Sei dentro le sbarre; sei in gabbia e in ogni direzione vedi solo sbarre”

Vite fatte di spazi vuoti, di silenzi malati, da colmare con ogni genere di cosa: droghe, farmaci, sesso, tv, successo, fama.

Vite disperate, degradate, deliranti e depresse, che affollano un mondo privo di natura, incapace di germogliare in un ambiente dove non c’è “luce”.

Anche la neve, leitmotiv di tutta la parte finale, non riesce a ingentilire gli spazi ma anzi li deturpa, li violenta, li soffoca…come la neve dei Dead nei Dubliners di Joyce.

Una denuncia per niente velata al sistema che si basa su immagine, pubblicità, fama e successo, un sistema che distrugge la nostra capacità di scegliere, un sistema che ci vuole iperattivi ma non per scelta, un sistema che vuole farci dimenticare per cosa valga la pena vivere.

Un’opera claustrofobica, cinica, ironica, a tratti comica, cruda e volgare ma capace di attimi di pura poesia, di lampi accecanti di luce.

“Mario dormiva, illuminato dolcemente dalle lucine minuscole giù per la collina che si vedevano dalla finestra. Era sdraiato completamente immobile e silenzioso come sempre, le sue povere mani giunte al petto come se aspettassero un giglio”

C’è incomunicabilità.

“Nessun orrore sulla terra o in altri luoghi può eguagliare la vista di tuo figlio che apre la bocca e non esce niente”

C’e alienazione, anedonia, vuoto interiore, agonia dell’anima, c’è morte e silenzio.

“Il silenzio di questo posto ha il suono scintillante del silenzio assoluto”

È possibile trovare una luce in tutto questo inferno?

Credo di sì…tra le righe Wallace ci dice che scappare da una gabbia richiede sicuramente e soprattutto consapevolezza del fatto di essere in gabbia, e che a volte il grido di sofferenza di molti ragazzi è quasi un urlo acutissimo che chiede solo di essere ascoltato.

CONSAPEVOLEZZA E ASCOLTO…tutto quello che nel mondo di Infinite Jest manca…

“Volevo fare qualcosa di triste. Avevo già scritto cose intellettuali e difficili, ma mai qualcosa di triste. E non volevo avere un solo personaggio principale. L’altra banalità poi sarebbe: volevo fare qualcosa di veramente americano, a proposito di cosa voglia dire vivere in America all’approssimarsi del millennio”…

e hai fatto un capolavoro!

Buona lettura!