Recensione a “I sepolti vivi – La rivolta della Ciavolòtta” romanzo breve di Giacomo La Russa

“I SEPOLTI VIVI – LA RIVOLTA DELLA CIAVOLÒTTA” di Giacomo La Russa

ABSTRACT

Luglio 1954. Licenziati per esigenze di bilancio, ventisette minatori decidono di occupare la miniera di zolfo della Ciavolòtta, nella Sicilia sud-occidentale. L’autore, attraverso la voce del surfaràro Michelangelo Fanello, detto Michilà, narra i cinque mesi di lotta, tra patimenti fisici e psicologici, tensioni interne e pressioni esterne, attenuate solo dalla solidarietà della popolazione che aspetta con ansia il ritorno dei lavoratori e non smette di sperare in una risoluzione della vicenda. Una storia che coinvolge i partiti, i sindacati, il mondo operaio e quello dei padroni. Una realtà che, sia pure in forme differenti, è ancora oggi attuale e merita di essere conosciuta perché il “passato non è mai passato”.

Recensione a cura di Beniamino Malavasi

Nell’Italia uscita prostrata dalla Seconda Guerra Mondiale, dove, mattoncino dopo mattoncino, si sta costruendo quello che diventerà il boom economico dei primi anni ’60 del secolo scorso, non tutto viaggia spedito, anzi! In Sicilia [a esempio] si vivono, con decenni di anticipo, gli effetti negativi di quella che, al giorno d’oggi, è definita globalizzazione.

Traendo spunto da fatti realmente accaduti a metà anni ’50 del secolo scorso, La Russa narra un evento drammatico che coinvolse gli addetti a una miniera di zolfo.

Lo zolfo, croce e delizia siciliana, da sempre “datore di lavoro” di centinaia di uomini (e bambini), ma, ormai, fuori mercato causa i prezzi concorrenziali offerti da altri produttori mondiali, fra i quali gli Stati Uniti d’America.

E qui nasce e si snoda il racconto de I sepolti vivi, titolo che rimanda alla scelta, dolorosa viste le conseguenze che ne sono scaturite, di un gruppo di minatori di occupare a oltranza la miniera nella quale sono, sarebbero, occupati. E già: i costi non più competitivi di produzione impongono alla proprietà di licenziare i cosiddetti esuberi; esuberi che, non dimentichiamolo, non sono numeri, bensì persone in carne e ossa con mogli e figli…

Con realismo, La Russa dipinge un quadro amaro nel quale, dietro le belle parole di circostanza, le “Autorità”, da un lato, si mostrano impotenti, dall’altro agiscono implacabilmente facendosi scudo con la “legge”. Non solo. Anche chi, Sindacati e Sinistra [quando la Sinistra era vera Sinistra] in testa, avrebbe dovuto combattere schierandosi dalla parte dei lavoratori, si mostra divisa se non, addirittura, in opposizione all’iniziativa “dura” di difesa della dignità di quegli uomini.

“Se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi” scrisse un altro siciliano a cavallo di quegli anni, a dimostrazione di come le epoche passino ma l’essere umano resti sempre quello.

I sepolti vivi: tutto sommato poche pagine ma dense; uno spaccato di vita – se vita, quella, si può chiamare – vera, con tutte le contraddizioni [l’avvocato che viene pagato con un coniglio e due forme di formaggio ricorda i capponi di Renzo Tramaglino ne “I promessi sposi” di A. Manzoni] e gli scogli, tra i quali, ricordiamolo, l’analfabetismo diffuso, che la scandiscono.

E la scrittura in prima persona porta il lettore a immedesimarsi in quei padri di famiglia che lottano pur essendo coscienti, in cuor loro, di non poterla spuntare di fronte a un mondo più grande di loro.

Buona e istruttiva lettura.

L’Autore

Nato a Palermo nel 1969, Giacomo La Russa vive ad Agrigento dove esercita la professione di avvocato.

Ha già pubblicato La storia di Jason.

L’opera I sepolti vivi – La rivolta della Ciavolòtta è stata finalista alla IX edizione del “Premio internazionale di letteratura città di Como 2022”.