Recensione a “I passi della follia – Zona buia per Balzani.”

 

“I PASSI DELLA FOLLIA – ZONA BUIA PER BALZANI” di Massimo Mirandola

Recensione a cura di Beniamino Malavasi.

Sul finire degli anni ’40 del secolo scorso Raymond Chandler (il creatore dell’investigatore privato Philip Marlowe) fissò in una decina di punti gli elementi che in un romanzo “giallo” (rectius: poliziesco e, perché no, thriller) devono ricorrere per potersi definire tale in modo incontrovertibile.

Vediamoli (succintamente):

  • Il romanzo “giallo” deve essere motivato in maniera credibile sia come situazione originale, sia come conclusione;
  • Il “giallo” deve essere tecnicamente esatto per quanto riguarda i metodi del crimine e l’indagine;
  • Il romanzo poliziesco deve essere realistico per quanto riguarda personaggi, ambiente e atmosfera;
  • Il romanzo “giallo” deve avere un autentico valore come storia, a parte l’elemento poliziesco;
  • Il romanzo poliziesco deve avere una semplicità di struttura fondamentale, sufficiente a rendere facili le spiegazioni quando è il momento;
  • Il mistero insito nel romanzo poliziesco deve eludere un lettore ragionevolmente intelligente;
  • La soluzione, una volta rivelata, deve apparire inevitabile;
  • Il romanzo poliziesco non deve cercare di fare tutto in una volta;
  • Il romanzo poliziesco deve punire il criminale in un modo o nell’altro, non necessariamente mediante il giudizio di un tribunale;
  • Il romanzo “giallo” deve essere ragionevolmente onesto con il lettore.

Ora (e per ovvie ragioni) non è dato sapere se Massimo Mirandola, prima di accingersi a scrivere “I passi della follia”, si sia approcciato al saggio di Chandler.

La cosa certa, ed è quello che conta ai nostri fini, è che, ultimatane la lettura, si può ben dire che il romanzo in esame sia strutturato secondo i desiderata del maestro indiscusso dell’hard-boiled.

Però attenzione! sempre Chandler avvisa che:

Il perfetto poliziesco non può essere scritto. Qualcosa va sempre sacrificata. Si può raggiungere solo un valore di qualità superiore.

E qui si inserisce il caro, vecchio, patto scrittore-lettore: sei tu, lettore, con le informazioni che l’autore ti fornisce pagina dopo pagina a dover giudicare se il buon Chandler abbia ragione o torto, scoprendo chi o cosa sia stato sacrificato nel libro de quo.

Ma Massimo Mirandola va oltre, suggellando il citato patto nel modo migliore.

Tradizionalmente si afferma che “la prova del nove” circa le capacità di uno scrittore consista nell’esaminare “come” egli si congedi dal lettore; in altre parole come egli strutturi il finale della sua opera, legandolo all’incipit e al corpo della narrazione.

Ebbene, questo concetto Mirandola deve averlo fatto suo e, in ragione di come ha concepito l’explicit de “I passi della follia”, l’ha applicato al meglio.

Invero la combinazione finale tronco-aperto (adottata dall’Autore) spiazza il lettore (fin lì sicuro di aver capito tutto e che la “storia fosse finita”) lasciandolo in balia di interrogativi senza (attuale) risposta…

Che altro aggiungere? In realtà poco, se non che il ritmo narrativo ben si attaglia all’andamento delle indagini e che la tensione sessuale corrente fra i protagonisti dona una certa (ulteriore) credibilità alla trama (quante storie sono nate sul posto di lavoro o “a causa” del proprio lavoro?).

Ah, dimenticavo: Massimo Mirandola è un esordiente e “I passi della follia” è la sua Opera prima.

Buona lettura.