Presentazione di “L’asso vince tutto”

L’ASSO VINCE TUTTO – QUARTA DI COPERTINA

La scoperta di un cimitero raccapricciante sulle proprietà di due famiglie è lo scenario che si trova davanti Rosita al ritorno da qualche giorno di ferie.

Quando scopre che una delle famiglie in questione era stata coinvolta in un caso di omicidio non molti anni prima, il caso si fa subito più interessante.

Sette fosse.

La prima con cinque corpi martoriati i cui connotati sono stati sconvolti; due in ognuna delle altre.

Sembrano tutti avere dei segreti e le indagini vanno avanti a rilento, ma Rosita può contare su una squadra coesa e soprattutto sull’aiuto di chi non vuole farla passare liscia a un assassino senza scrupoli.

Che cosa hanno a che fare le teorie di Lombroso con gli omicidi?

Chi si nasconde nell’ombra per portare morte e scompiglio nelle vite di due famiglie apparentemente senza colpe.

Si tratta di vendetta? O di un gioco sanguinoso e crudele?

E cosa ha a che fare il poker in tutto questo?

Dopo La colpa delle madri e Stalk Her, un nuovo capitolo ci attende in compagnia dei personaggi che abbiamo saputo amare nei precedenti romanzi di Jane S. Doe.

Rosita, D’Annunzio, Kurui, Montgomery, Allen, Redcliff, Guerrera, Kovach saranno di nuovo insieme a voi, pronti a scoprire qualsiasi cosa si nasconda dietro a un caso che è decisamente fuori dal comune.

L’ASSO VINCE SEMPRE – ESTRATTI DAL LIBRO

1

«Se non avevano nessuno, da chi riusciva a sapere i particolari? Abbiamo letto gli articoli e ci sono moltissimi dettagli delle loro vite, del loro carattere. Cose che non si possono sapere da semplici conoscenze superficiali.»

«È vero. Sa, la gente non ci conosce, ma lei adesso, dopo pochi minuti, sa qualcosa di me. Per esempio sa che sono disponibile ad aiutare, sa che faccio fatica a camminare e se mi avesse offerto un caffè, saprebbe che lo detesto. Allo stesso modo, la mia panettiera sa che amo gli animali perché ogni giorno prendo il pane vecchio e lo porto al canile. Il mio vicino sa che la musica country è la mia preferita e in special modo Jonny Cash. Tutte queste informazioni, e molte altre messe insieme, fanno me. È questo che facevo. Cercavo chiunque avesse una briciola e cercavo di tirare fuori una pagnotta completa. Non era sempre facile e nemmeno ci riuscivo il più delle volte, ma ci provavo.»

2

Forse la mia nascita difettava di qualcosa e io non ho acquisito il senso dell’amore. Al pari di venire al mondo senza una gamba o un braccio, io non ho la capacità di provare amore e incredibilmente provo un’attrazione inspiegabile per tutti coloro che hanno questo mio stesso handicap. Lo sento a distanza, me ne accorgo, lo fiuto. Ho una specie di sesto senso, ne vedo l’aura e ho l’obbligo di avvicinarmi. Mi incuriosiscono. Se riesco a capire loro, forse riesco a capire anche me. Per quanto riguarda gli altri, semplicemente me ne tengo alla larga. Posso fingere per un po’, ma alla lunga diventa evidente che non ho nulla in comune con loro e suscito istintivamente sospetti e in qualche caso anche repulsione. Se posso permettermi di fare un paragone, davanti a me hanno la stessa reazione che potrebbero avere davanti a un rettile sconosciuto. Vorrei dire che non mi importa, ma non sarebbe la verità. Mi ferisce invece. Lo ha sempre fatto. A tratti ho creduto che fosse colpa mia, ma poi è subentrata la rabbia. Sono tutti pronti ad aiutare chi nasce con una menomazione fisica, ma io? Io che ho questa mancanza che non ho chiesto di avere? No, io devo stare a distanza. Sono inquietante. Così ho dovuto canalizzare la mia frustrazione per non esplodere.

Ciò che mi fa stare bene è creare difficoltà agli altri, da sempre.

3

«Dovremmo farlo, in teoria. Ma credo che potremmo semplicemente metterci qui davanti e controllare la casa senza disturbarlo.»

«E se fosse in pericolo? Se l’assassino fosse già dentro?»

D’Annunzio la fissò per un lungo istante, valutando quell’ipotesi per niente strampalata.

«Allora meglio bussare,» concluse.

Kata annuì seguendolo verso la porta.

Due colpi sul legno massello risuonarono nel silenzio sotto le nocche di D’Annunzio. Nell’aria immota erano sembrate due esplosioni. Impossibile non sentirle.

Attesero quasi trattenendo il fiato per riuscire a cogliere ogni più piccolo rumore, ma dall’interno della casa non giunse nulla, neppure l’imprecazione di un uomo svegliato nel bel mezzo del suo giusto sonno.

4

In alcuni momenti, specie quando mi siedo sul balcone e guardo il tramonto, mi domando come sarebbe stata la mia vita se avessi conosciuto un po’ più d’amore, se qualcuno mi avesse fatto sentire speciale e importante. Non ho una risposta, ovviamente. Nessuno la può avere. Si possono solo fare vaghe e incerte supposizioni. Magari non sarebbe cambiato nulla… o magari sì.

Perché avere assicurati il pranzo e la cena o abiti puliti non è tutto.

Mi manca l’imprinting.

L’abitudine all’affetto.

5

Ho camminato su una strada sterrata, tra i campi, in mezzo alla terra, tra le foglie portate dal vento e le briciole di pane e la mia vista non ne è stata disturbata.

Il problema non è il gomitolo di polvere che rotola inarrestabile.

Il problema è il pavimento lucido che lo fa sembrare qualcosa di alieno e inaccettabile.

Quello stesso pavimento che non è altro che un cercare invano di mettere ordine e pulizia nella vita sporca e disordinata di ogni essere umano.

L’apparenza…

6

Ci affanniamo dietro l’impeccabile pulizia di un piano su cui camminano scarpe sporche, che appartengono ad anime altrettanto sporche, senza concentrarci sul fatto che quell’ordine apparente e innaturale non fa altro che confonderci e farci apparire ancora più fuori posto.

Mi compare alla mente un’immagine di due foto. Due delle pochissime che ho accettato di fare prima di trovare la mia maschera.

In una ho uno sfondo perfetto, lucido e lineare e l’occhio non fa altro che cadere sui miei difetti, sull’espressione tirata. Nell’altra c’è un prato sconnesso, pietre, rocce, un cielo azzurro con nubi di ogni forma, alberi, arbusti, foglie e io sembro un tutt’uno con esso.

Persino la mia espressione è più naturale e rilassata.

Ecco la verità, quindi.

Creiamo ordine attorno a noi, pulizia, simmetria, ma nulla di tutto questo è fatto per farci stare meglio, semmai per farci sentire inadeguati, fuori posto, sporchi.

Vorrei gridarlo.

Dovrebbero saperlo tutti.

Invece taccio e sorseggio il mio caffè. Ne ho bisogno dopo questa sera e nei prossimi giorni devo riflettere sui prossimi passi perché non voglio compiere errori. Se mi scoprissero prima della fine del gioco sarebbe una vera disdetta. Abbiamo pianificato tutto con così tanta attenzione che non potrei accettare un fallimento in questa fase. Sarebbe devastante per me e ho assoluto bisogno invece di raggiungere il mio obiettivo. Se non per me, lo devo fare per lui.

Le lacrime mi sfiorano gli occhi.

È solo un attimo.

Solo una frazione di secondo che basta per farmi infuriare.

Cosa sono?

Una mezza calzetta?

L’ASSO VINCE SEMPRE – COVER CAPITOLI PRECEDENTI:

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