Intervista a Giada Trebeschi


Il Circolo Fozio è lieto di ospitare Giada Trebeschi: scrittrice, saggista, autrice e interprete teatrale, ricercatrice, docente universitaria, ecc.

Giada: innanzitutto grazie per essere qui con noi!

Ora, visto che le tue interviste “convenzionali” sono disponibili sui vari siti culturali, oggi verrai interrogata circa i tuoi segreti più reconditi. Pronta a dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità?

Pronta!

Bene, allora partiamo.

Sei nata, cresciuta e hai studiato (per chi non lo sapesse Giada ha ben due lauree e un dottorato) e iniziato a lavorare (docente, ricercatrice, per citare il minimo sindacale) in Italia. Poi ti sei trasferita in Germania. Ecco: cosa provi, cosa senti, quando torni in Italia e, di rimando, cosa provi, cosa senti quando rientri in Germania?

Sono molti anni che abito all’estero, sono stata quasi dieci anni in Svizzera, ora da sei anni in Germania e la vita di un expat è sempre a cavallo fra due mondi. Cerchi di goderti le cose migliori del posto in cui vivi ma ti manca l’aria di casa e viceversa. È faticoso ma molto stimolante.

Recentemente ti abbiamo visto su Rai1, ospite dello show del sabato sera “Ballando con le stelle”. Tu che hai calcato i palcoscenici come attrice (senza dimenticare che sei anche autrice teatrale e di saggi che riguardano il teatro) che rapporto hai con la danza?

Adoro la danza e mi piace andare a ballare. È una delle arti più antiche, nata per avvicinarsi al divino. Ballare produce gli ormoni della felicità e apre all’ascolto poiché per ballare insieme, con un partner o con un gruppo, bisogna fare molta attenzione all’altro, ascoltarlo e compiere movimenti che non sono più solo nostri ma che si armonizzino con quelli degli altri.

Da qualche parte ho letto che il tuo compositore preferito è Mozart. In chiave moderna c’è qualche cantante o cantautore che apprezzi particolarmente?

Ce ne sono molti e sarebbe difficile sceglierne solo uno. Amo la musica classica e l’Opera, il rock, lo swing, il tango e molto altro. Non ascolto solo un genere o un autore così come non mangio sempre le stesse cose né leggo sempre lo stesso genere di libri. La variazione è ciò che trovo più interessante.

Parliamo di come nasce un tuo romanzo. Da chi o cosa trai spunto per titolo, trama e personaggi (nome compreso)?

I miei romanzi nascono solitamente da un fatto storico realmente accaduto, qualcosa che ho trovato in archivio, una storia in cui sono inciampata per caso, un ritrovamento archeologico o cose simili. E poi c’è sempre un argomento che m’interessa raccontare, un tema che voglio osservare attraverso gli occhi dei miei personaggi. Quel tema offre lo spunto per la trama.

Il titolo di solito nasce insieme al romanzo perché è quello che per me già racconta ciò che sarà. Solo in un caso ho cambiato il titolo con cui era nato un romanzo (e solo perché pressata dall’ufficio marketing).

I personaggi sono il mio prisma, attraverso i loro occhi posso osservare in molti modi diversi, posso raccontare la storia che sto narrando da molti punti di vista, con sentimenti diversificati e opposti sempre cercando di restare nella plausibilità delle azioni e dei pensieri che li caratterizzano. Anche i miei personaggi nascono già con un nome – come il romanzo con il titolo – perché quando si conosce il nome di qualcosa allora quella cosa esiste. Tra l’altro, quasi sempre i nomi che scelgo per i personaggi hanno un significato simbolico. Nomen omen come dicevano i latini.

C’è un periodo della giornata che reputi migliore per la scrittura o un’ora vale l’altra?

Fosse per me scriverei la notte. Dalle otto di sera alle quattro del mattino. A volte ci riesco ma con i ritmi e gli impegni della vita quotidiana mi sono adattata a scrivere a qualsiasi ora. 

Secondo te, di un romanzo (o, in generale, di un testo), qual è la parte più difficile da scrivere tra incipit, “centro” e finale?

Secondo me sono tutte ugualmente difficili. Hanno caratteristiche, modalità, tempi e funzioni diverse e dunque bisogna adattarsi e seguirle a seconda di dove ci si trova. È come scegliere un abito da indossare a una festa. Sarà molto diverso se si va a cena dalla regina d’Inghilterra, in discoteca, a un ballo in maschera o a casa della nonna ma bisognerebbe sempre sceglierlo con cura.

In “Ogni riferimento è puramente casuale” Antonio Manzini (l’”inventore” del vice-questore Rocco Schiavone) affronta, con toni non sempre lusinghieri, gli step della carriera di uno scrittore: presentazioni, firmacopie, rapporti con case editrici e recensori. In generale, qual è il tuo rapporto con i cosiddetti (perdona la cacofonia) “addetti ai lavori”? Il fatto di essere una donna ti sembra influisca sui giudizi che essi esprimono sulla tua produzione?

Manzini ha ragione, in editoria non è tutt’oro quel che riluce. I momenti i più difficili sono spesso quelli degli incontri-scontri con gli editor, i più belli e interessanti sono invece le presentazioni e gli incontri con i lettori. Al momento mi piace stupirli presentando i miei libri tramite uno spettacolo teatrale musical-letterario che mi permette di raccontare i libri in un modo più fruibile ed efficace.

Il fatto di essere una donna spesso influisce soprattutto sui giudizi dei cosiddetti critici e a volte, purtroppo, dei colleghi. Tra l’altro io scrivo romanzo storico e in molti, troppi, sono ancora convinti che la Storia sia roba da uomini. Peccato che io, a differenza di molti scrittori che scrivono questo stesso genere, sia uno “storico” nel vero senso della parola. Per anni ho fatto della Storia e della ricerca scientifica sul campo il mio mestiere, studiando anche in Archivio Segreto Vaticano.

Di solito, quando sento certi commenti o quando provano a chiudermi nell’odioso ghetto del cosiddetto “romanzo al femminile” mi metto il tacco 12, perché non è mai giusto nascondere la propria femminilità, e li sfido a trovare l’errore. Non hanno ancora mai vinto.

Ad ogni modo trovo queste diatribe irritanti, discutere se la Storia o la scrittura o l’arte sia roba da uomini o da donne è come discutere del sesso degli angeli.

In una intervista (tra il serio e il faceto) hai confessato che, tra i vantaggi dello scrivere “storici”, non hai l’obbligo di essere politically correct; concetto questo sconosciuto o quasi nei secoli passati. Ora, anche se siamo nel 2020, ne approfitto e ti chiedo: essendo tu una donna, per di più emiliana, ti piace cucinare? Che rapporto hai con la “tavola”?

Sì per fortuna non devo essere politically correct raccontando di Storia. Faccio riferimento ai fatti e quelli devono essere raccontati per quello che sono stati nel modo più obiettivo e vero possibile in barba al politicamente corretto.

Anche a tavola non sono assolutamente politically correct: non sono vegetariana né astemia anzi, spesso diffido di chi lo è. Mi piace molto cucinare e cucino di tutto, dai piatti della tradizione al cibo Thai. Il cibo, il vino (e la birra – specialmente in Germania!) sono cultura, perché non accogliere le differenze ed esserne curiosi?

Da brava emiliana ho un rapporto molto stretto, quasi erotico, con il cibo. Non mangio mai semplicemente per riempirmi lo stomaco e detesto chi, per moda o ignoranza, non apprezza il piacere della buona tavola.

Tuo marito legge o ha bisogno di una….spintarella?

Mio marito legge abbastanza ma non legge me. È tedesco e non legge in italiano.

Da accademica e storica cosa pensi dei fenomeni (in termini di vendita) alla Dan Brown che, pur non essendo culturalmente italiani, vendono e convincono milioni di lettori parlando di storie e personaggi italiani (esempio: Leonardo da Vinci e Dante Alighieri)? Solo marketing o c’è della “sostanza”?

Quando il patto con il lettore è rispettato e questa tipologia di libri non si vende convincendo il lettore che si tratta di romanzo storico, allora ben vengano. A mio avviso, la nazionalità dell’autore poco importa anche se parla di storie e personaggi di altri luoghi, l’importante è che li conosca a fondo e non s’improvvisi. Il mio prossimo romanzo, per esempio, è ambientato nell’Inghilterra vittoriana che conosco molto bene, e so che anche il più britannico degli storici non troverà da ridire sull’ambientazione.

Quello che mi disturba è quando l’autore o il marketing cercano di vendere il libro come una cosa che non è. Posso pure credere ai draghi o a un Giulio Cesare che non viene assassinato e persino godermene le avventure se non me le spacciano per storicamente reali. Detesto anche i libri in cui si parla di personaggi molto noti di cui gli storici sanno quasi tutto e nel romanzo li fanno pensare, dire o fare loro cose che non solo non hanno mai fatto o detto o pensato ma che non sono assolutamente plausibili nel tempo in cui vivono. Va bene che si tratta di un romanzo e di non un saggio storiografico e ci si possono prendere delle licenze ma senza esagerare.

(Sulle orme del padre, e come lui) Alberto Angela ha il grandissimo merito di aver portato la cultura (e l’Italia) al grande pubblico. Le sue competenze e le sue capacità sono fuori discussione; ma è davvero un sex symbol?

L’intelligenza è sexy. In più Alberto Angela è anche un bell’uomo, per questo penso sia considerato un sex symbol.

È più facile (o difficile) affrontare una classe universitaria o persone intervenute a una presentazione?

Sono due cose diverse, né più facile né più difficile, semplicemente richiedono strumenti diversi. In ogni caso sono entrambi momenti di confronto molto interessanti e quello che, in ogni caso, cerco di fare è di stimolare la curiosità di chi mi ascolta. Spero sempre ci siano domande da parte del pubblico alla fine.

Che cosa legge Giada Trebeschi (oltre, ovviamente, ai testi di ricerca per i suoi libri)?

Essendo l’editor in chief per la narrativa italiana all’interno della Oakmond Publishing leggo molti inediti e poi, quando finalmente ho un po’ di tempo per leggere solo per il mio puro piacere, spazio molto fra i generi e le lingue; leggo amici e colleghi che stimo come Valeria Corciolani, Divier Nelli o Mariano Sabatini e spesso testi teatrali.

Si dice che in Italia le donne leggano più degli uomini. Secondo te: perché? All’estero come ti sembrano i rapporti?

Credo le donne leggano più degli uomini perché sono più inclini a lasciarsi andare a un viaggio nel tempo e nello spazio quale è la lettura. Un viaggio immaginifico ed emotivo per evadere dalla quotidianità.

Anche all’estero le percentuali rispecchiano quelle italiane e sono sempre più le donne a comprare libri e a leggere.

Da “parte in causa”: libro cartaceo o e-book?

Entrambi. Sono solo supporti diversi e dipende da quello che si legge.

Per quanto riguarda i testi di studio preferisco il cartaceo così da poterli sottolineare, farci orecchie, mettere segni, viverli, macchiarli di caffè o di vino (lo so, per molti sono un mostro!). Per il romanzo scelgo invece la comodità dell’e-book; poi se il romanzo mi è davvero piaciuto così tanto da volerlo in libreria allora compro anche il cartaceo.

Perché scegliere e leggere Giada Trebeschi?

Uh, che domanda difficile! Forse perché, a quanto dicono, sono una brava guida turistica per viaggi nel tempo e nello spazio.

Ringraziamo Giada Trebeschi per la pazienza e per il tempo che ci ha concesso.

Grazie a voi!

Alla prossima!