Incontro con Simona Colarizi e Giuliano Albarani – Rassegna “1992-2022 Non solo numeri. L’Italia e l’appuntamento con la Storia” – Auditorium Biblioteca “A. Loria” – 09/11/2022


Lo scorso 09 novembre 2022, nell’Auditorium della Biblioteca “A. Loria” di Carpi, nell’ambito della rassegna “1992-2022 Non solo numeri. L’Italia e l’appuntamento con la storia” – “1992 La Prima Repubblica e la resa dei conti”, introdotti e salutati dall’Assessore alla Cultura del Comune di Carpi Davide Dalle Ave (in piedi nella foto),

Giuliano Albarani (a destra nelle foto), dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia – UNIMORE, ha dialogato con la professoressa, storica, saggista, Simona Colarizi (a sinistra nelle foto).

Più ci allontaniamo dal “tornante” 1992-1994 più riusciamo a vederlo, a leggerlo. Trattasi di crisi che prende vita negli anni ’70 del secolo scorso.

1992-1994: è storia lunga, è culmine di un processo e inizio di un altro; è momento drammatico: è caduta di un sostema politico. Tuttavia, parlare di passaggio da Prima a Seconda Repubblica dovrebbe implicare una transizione costituzionale [tipo quella francese voluta da De Gaulle con il passaggio dalla Quarta alla Quinta Repubblica] che non c’è stata, salvo qualche eccezione tipo la modifica della legge elettorale.

Sono stati la classe dirigente e la sommatoria degli eventi che hanno concorso alla “caduta” della “Prima Repubblica”. Se confrontiamo il “prima” e il “dopo”, occorre marcare che si è trattato di una rottura drammatica: nelle elezioni del 1994 dalle schede elettorali sono scomparsi tutti i partiti votati fino ad allora; e non conta che abbiano cambiato “etichetta”: il nome è importante, è su di esso che si è creata la loro identità. Inoltre sono i Partiti che hanno fondato la Repubblica. Si potrebbe persino fare una similitudine tra caduta della Prima Repubblica e caduta dello Stato Liberale.

Con il 2011 si è attuata transizione a Terza Repubblica?

Occorre tenere presenti gli elementi di continuità e di rottura (metodo storiografico).

Un sistema politico non può cadere per una sola ragione. Al contrario si possono individuare tre ragioni principali: causa sistemica: Tangentopoli; causa internazionale: i nuovi vincoli posti dall’Unione Europea [riferimento al Trattato di Maastricht del 1992]; causa ecoonomica: la cosidetta globalizzazione, che gli studiosi fanno risalire alla fine degli anni ’60 del secolo scorso.

Con il 1989 tutto si disgrega: la contrapposizione Patto Atlantico e U.R.S.S. teneva bloccato il sistema. Non c’era alternanza tra maggioranza e opposizione. E un sistema senza ricambio si sclerotizza.

Nel 1989 i Partiti non sono pronti al cambio. Non c’è congiura dei magistrati. Non c’è congiura dei poteri economici.

Lo scenario istituzionale è sostanzialmente invariato mentre è la realtà concreta a cambiare.

La fine dell’U.R.S.S. costituisce sfida per tutto l’Occidente: i sistemi politici sono tenuti in piedi proprio dal doversi interfacciare con U.R.S.S..

Ma è a partire dagli anni ’70 del secolo scorso che il sistema politico italiano è in forte declino. Il problema corruzione è ovunque. Cosa è successo? I Governi avevano (hanno) bisogno di consenso e il consenso si paga. La legge sul finanziamento ai partiti del 1974 è violata il giorno stesso della sua approvazione. La politica costa e va finanziata; la corruzione diventa, è elemento fisiologico del potere politico. Esempio: nel 1956 Nenni “rompe” con il PCI ma si chiede: dopo chi mi mantiene? E anche la richiesta di aiuto all’Internazionale Socialista del 1956 porta pochissimi frutti…

Negli anni ’50 del secolo scorso Fanfani risolve il problema del finanziamento alla DC ricorrendo alle partecipazioni statali. Nel 1974 De Mita sostiene che le partecipazioni statali hanno un obbligo sub-istituzionale di sostenere i partiti (DC). Ma negli anni ’90 del secolo scorso le partecipazioni statali sono impoverite. Il partito della spesa pubblica è trasversale.

I partiti sono nati nell’età dell’oro con funzione di redistribuire ricchezza. La cosiddetta secolarizzazione finisce per coinvolgere anche il PCI. Le ideologie totalizzanti del ‘900 declinano.

È finita l’era della società collettiva propria degli anni ’70-’80 del secolo scorso: nasce la società mediatica.

I partiti non hanno preparato la transizione. Basti pensare che il cosiddetto “Statuto dei lavoratori”, legge 300/1970 e s.m.i., non fu votata dal P.C.I.

Chiudere il processo di revisione significa fare i conti con U.R.S.S.; già nel 1968 il PCI intraprese un percorso di avvicinamento all’Europa occidentale.

Non esiste una società civile sana. Un sistema democratico senza partiti non c’è [citando Giovanni Sartori].

PDS – DS – PD sono stati, è una aggregazione di forze, non sono stati, non è un partito che abbia identità riconoscibile.

Richiamo al socialismo di fine ‘800.