Incontro con Giuseppe Governale – Rassegna “Ne vale la pena” – Auditorium Biblioteca “A. Loria” di Carpi

Nell’ambito della Rassegna “Ne vale la pena”, curata dal giornalista Pierluigi Senatore, presso l’Auditorium della Biblioteca “A. Loria” di Carpi, martedì 25 ottobre 2022 si è svolto il secondo incontro del trittico dedicato al trentennale delle stragi di mafia ove persero la vita, oltre agli uomini e donne di scorta, i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Ospite della serata il Generale di Corpo d’Armata Giuseppe Governale.

Introdotto dal saluto dell’Assessore allo Sport, Patrimonio verde e Patto per il clima del Comune di Carpi Andrea Artioli (in piedi nelle foto)


il Generale Governale (a destra nelle foto; a sinistra il giornalista Pierluigi Senatore), già Comandante del Raggruppamento operativo speciale – R.O.S. – e Direttore della Direzione Investigativa Antimafia – D.I.A., e dal 16 luglio 2022 nuovo Comandante delle Scuole dei Carabinieri, da cui dipendono tutti gli Istituti di formazione e specializzazione dell’Arma, ha preso subito il centro della scena.

Prendendo spunto dalla storia della mafia siciliana, con qualche, doverosa, digressione, Governale ha illustrato i ritardi e le contraddizioni che governano la lotta a “Cosa nostra”.

Partendo da lontano, il generale ha spiegato come già i bravi di manzoniana memoria fossero un esempio di proto-mafia ma, mentre in Lombardia, all’inizio del XVIII secolo, si realizzò il Catasto, in Sicilia ciò non avvenne: lo Stato era assente, assenza che si è via via stratificata con i risultati noti… E qui Governale ha richiamato le tesi istituzionalistiche del giurista Santi Romano: assenza Stato dà luogo a sottosistemi giuridici.

Tornando alla storia siciliana, il generale ha ricordato la figura e l’opera di Diego Antonio Tajani, Procuratore Generale a Palermo negli anni 1866-1871, uno dei primissimi magistrati a combattere contro la mafia, cercando di fronteggiare la collusione tra parte della polizia e la malavita organizzata e denunciando le coperture assicurate a esponenti mafiosi dalla politica locale e nazionale.

Ancora, abbiamo Ermanno Sangiorgi, questore di Palermo, famoso per aver redatto nel 1898 il celebre “rapporto” nel quale illustrò come fosse strutturata la mafia: famiglie, mandamenti, commissione. Esattamente le stesse cose dette da Tommaso Buscetta nel 1984… Certo, Buscetta disse anche altre cose, tipo il “vero” nome della mafia, ovvero “cosa nostra”; ma il nome è cosa importante? Si chiede Governale…

E che dire di Leonardo Vitale, annoverato tra i primissimi “pentiti” di mafia, il quale, già nel 1974, fece nomi e cognomi (Riina, Calò, Provenzano, ecc.) ma che, non solo non venne creduto, non solo venne internato in un manicomio criminale, fu ucciso proprio dai mafiosi che aveva accusato?

Le cose iniziano a cambiare nel 1982, a seguito dell’ennesimo omicidio “eccellente”, quello del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Finalmente, con la legge “Rognoni-La Torre”, si attua la riforma del codice penale con l’introduzione dell’art.416-bis che condanna l’associazione di tipo mafioso. Prima, infatti, a essere sanzionato era il singolo reato; dopo, il fenomeno associativo mafioso in quanto tale. E anche Pio La Torre venne ucciso….

Governale ha posto l’accento sulla differenza tra sentire e ascoltare e Giovanni Falcone ascoltava.

Così come il generale ha insistito sulla necessità di formare, istruire la classe dirigente, precisando che classe dirigente è cosa diversa da classe politica. Invero, se questa tende a cambiare, i dirigenti sono quelli che tendono a rimanere, sono loro che, di fatto, governano il territorio.

Giuseppe Governale ha ammsso che, attualmente, sul piano investigativo siamo messi bene, ma una cosa è il vantaggio e una cosa è vincere. E per questo occorre coinvolgere i tre settori base: la Chiesa, la Scuola, il Terzo Settore. Sul punto, illuminante è stato il paragone fatto dal generale: la Chiesa ha circa 28.000 parrocchie; l’Arma circa 6.000 presidi/caserme. Le mafie sono malattie sistemiche: occorre togliere gli organismi sani dal contatto con gli elementi patogeni. È un problema di riflettori: le mafie hanno interesse che essi si spengano. Le mafie si adattano, sono camaleontiche (da qui la scelta del camaleonte presente sulla copertina del libro presentato in questa sede); è l’opinione pubblica a essere manipolabile! Un conto è “dobbiamo fare”, un conto è “facciamo”; e qui entra in gioco il concetto di “controllo”. Così come, nella formazione dei carabinieri, entrano in gioco i concetti di Servizio, di Affidabilità, di Essere Utili.

Ma lo Stato ha interesse a vincere? Il Generale Giuseppe Governale ha risposto sì.